Pillole Dimagranti_
Frammenti di materiali organici_
Frammenti di un racconto, che racconta tutto, o forse nulla.
Work in progress_
[...]
[“Lasciate ogni speranza voi che entrate”. Scendo i gradini
dell’osteria, e mi sembra di entrare in un girone dantesco, dove indietro non
si può più tornare. Il brucaliffo mi sbarra il portone alle spalle,
sogghignando, mostrandomi i suoi denti, simili a frammenti di petrolio,
derivati dalla decomposizione di grandi ammassi di materiale organico e
animale. Abbandono ogni speranza, decido di lasciarmi cullare da una fine
atroce quanto dolorosa. Forse sto già salendo in paradiso, o precipitando negli
inferi, o forse il cameriere sta semplicemente elencandomi i piatti del giorno,
ammaliandomi con un sex appeal alimentare. Una tentazione alla quale non posso
resistere.
Terremoto di magnitudo 7.1.Il mio stomaco si apre in uno squarcio abominevole e spaventoso, che nessun miracolo chirurgico potrebbe mai ricucirmi. La fame mi assale, si impossessa di me. Vorrei raggiungere le mie pillole miracolose, devono pur essere nascoste da qualche parte.
Ho bisogno delle mie pillole.
Ho bisogno di cibo.
Ho bisogno delle mie pillole.
Ingredienti: Alga ficus, iodio 0,1% (fucus vesiculosus
tallo); agente di carica: calcio fosfato
bibasico; maltodestrine; amido di mais; antiagglomerante: magneso
sistearato; acido clorogenico.
Bastava un attimo. Ma era già troppo tardi.Prima che il mio sistema nervoso potesse avere il tempo necessario per ordinare al corpo di fuggire a gambe levate, il mio sedere fasciato da quel paio di pantaloni troppo stretti, già si stava addentrando nella foresta della perdizione, costellata da migliaia di tavolini apparecchiati ed infiocchettati. Tutto era avvolto da una nube densa e pesante, simile ad una cappa di fumo che volteggia nell’aria, accompagna ogni tuo sospiro, e si sedimenta sui fianchi ad ogni tuo respiro. Mi appesantivo ad ogni passo. Le calorie s’intrufolavano in me invadendo il mio sistema vitale. Mi avvolgevano la cavità nasale, le labbra, i timpani, i bulbi oculari. Non avevo scampo. Tutto intorno a me parlava di cibo. Le persone che mi sorridevano accanto, ingurgitando il loro pasto come dei maiali, con ingordigia, voracità, senza alcun indugio e interruzione. Temevo potessero ingoiare anche me nella loro furia assasina.
Intanto, occupavo il mio posto in fondo alla sala,
riscaldando l’ultima seggiola della taverna con il calore del mio sedere. Silenziosamente,
come una ballerina di danza classica, avevo sfilato accanto ai commensali,
sfoggiando le mie quattro ossa, come ultimo trofeo di una miserabile esistenza.
Un’esistenza appesa all’ago di una bilancia, trascorsa a
gareggiare una maratona dove tu sei unicamente l’ombra di una bambola perfetta,
che volteggia dall’alto di un paio di Manolo bianche, accompagnata dal vento, e
spazzata via da un soffio di aria fresca.
Un’esistenza trascorsa a volteggiare per la città di
Macerata, accompagnata da continue crisi d’astinenza da pillole dimagranti. Una
dipendenza inconsueta, che ti stravolge la vita inducendoti ad imprese folli.
Ero una cocainomane affetta dalla sindrome del dimagrimento, che sballottola
per le vie della città come una palina di flipper impazzita. Il mondo attorno a
me non poteva vedermi: correvo più veloce del vento, e la mia determinazione scorreva
come acciaio vivo dritto nelle mie vene. Un sottile velo di bava alla bocca
tradiva l’innocenza di una ragazza, che altro non era più di un automa drogato,
travestito da principessa.
Occupavo il mio posto in fondo alla sala, riscaldando l’ultima
seggiola della taverna con il calore del mio sedere.Aspettando la mangiatoria, regnava il silenzio. Il brucaliffo fumava pacifico, appoggiato al poggiolo, accanto alla porta d’ingresso. I commensali terminavano il loro nutrimento in silenzio, ammutiti, quasi come tutti, all’interno della taverna, fossero consci di una terribile catastrofe che avrebbe presto scatenato l’inferno, e scombussolato per sempre le loro inutili esistenze.
Io digrignavo i denti, serravo la mandibola, torcevo
nervosamente le mie dita martoriate. Tentavo inutilmente di sviare la mi
fragile mente da un terrorismo alimentare, che in pochi minuti avrebbe lacerato
le mie giovani carni. Ma era tutto inutile.
Ero una tossicodipendente a pochi minuti dall’iniezione
della tanto attesa dose, dopo settimane di un’astinenza rovinosa. Le pupille si
dilatavano a dismisura, un olezzo di alio misto a sughetto cotto al punto
giusto, proveniva dalla cucina della taverna; avvertivo la sofferenza, e l’odore
delle vivande mi bruciava nel petto.
Il piede sinistro ticchettava nervosamente a terra, il
gommino della Manolo combatteva un’infinita guerra contro un pavimento liscio,
che opponeva all’elegante calzatura una forza di attrito opposta, e un’attrazione
oleosa, data dalla scarsa pulizia della taverna.
Olio fritto, sughetto di pomodorini e alio. Il vapore delle pietanze
si mescolava agli sbuffi di fumo che ingoiavano voracemente il sigaro del
brucaliffo, nel momento stesso in cui si avvicinava pesantemente a me,
invadendo la mia presenza con il suo odore stantio, rancido, raffermo, come
formaggio andato a male, vino rosso inacidito, e cadavere putrefatto. Le cozze
alla diavola troneggiavano dinnanzi a me, sfidandomi nella loro imponenza e
pesantezza, consapevoli di essere più potenti di me. Il piatto sorretto dall’artiglio
peloso del mio carnefice, sbatteva infine sul tavolo, provocando un rumore
sordo e un poco fastidioso, come unghie affilate contro la parete di una
lavagna, o forse era solo il mio cuore, che sgusciava fuori dalla regione
cardiaca, per pompare voracemente il sangue nelle arterie, fino a scoppiare.Vorace, ingorda, insaziabile, violenta, distruttiva.
Una passione che mi lacerava dentro, una violenza che mi stringeva la gola, soffocandomi lentamente nell’aroma di una pietanza piccante.
Allargavo rapidamente le pareti del mio stomaco, nel momento
stesso in cui serravo violentemente le finestre della mia anima.
Non necessitavo di convenevoli, ringraziamenti, finti
sorrisi di chi finge di non capire. Desideravo che il mondo intorno a me
potesse fermarsi in quell’istante. Affogavo l’intera popolazione maceratese in
una lava vulcanica scottante, composta da sugo di pomodoro, alio, un poco di
rosmarino, e una vagonata di veleno. Le mie pupille dilatate lanciavano lampi e
fulmini. Dovevano morire. Il mondo intero doveva morire. Esattamente come stavo
morendo io in quell’istante.Mi buttai nelle cozze, precipitandomi in quella pericolosa avventura, che avrebbe di certo lacerato le mie pallide membra. Mi inabissai nella salsa, affogai le mie livide dita nel sugo. I lamellibranchi venivano forzati dentro la loro conchiglia con merovingica ferocia, quasi me li inghiottivo interi. La mia anima si squarciava, vittima di una battaglia interna senza precedenti; i gusci venivano rigettati sul piatto, esattamente come le mie ossa erano state maciullate, masticate, e poi sputate.
Come una furia assassina affrontavo il mio acerrimo nemico; facevo l’amore con un’altra me, quella che da sempre rinnegavo, e affogavo i miei sensi di colpa nella salsa di pomodoro.]
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