Un 'altra storia di scarpe, un'altra
storia di quelle scarpe nuove, bellissime, luccicanti, sensuali;
portate a mano da un'ottusa fanciulla, che la dignità, l'aveva
pestata insieme ad una cacca di cane, lungo la via del ritorno.
Se ne stavano lì, appese al mio
braccio, che dondolava avanti e indietro, e un po' ciondolava, al
ritmo di una musica che non c'era più, ma ancora pulsava in quella
scatola cranica, che aveva perso la materia grigia in un bicchiere di
Ruhm.
Quella sera avevo come l'impressione
che il solo sfoggiare quelle scarpette magiche, mi sarebbe bastato.
Non importava il maquillage perfetto, l'ombretto bianco sotto il
sopracciglio, per innalzarmi lo sguardo, l'eye liner lungo la
palpebra.
Nulla importava.
Neanche l'outfit perfetto per la serata.
Niente importava.
La sola cosa che mai avrei dovuto togliermi, erano
quelle scarpe.
Una scialuppa di salvataggio, in una serata che, già
nei primi cinque minuti, aveva preso la piega sbagliata.
Scarpe ai piedi, gambe in spalla, gonna
lunga, drink in mano.
Avevo la terribile sensazione di aver annegato
anche quei pochi momenti di lucidità in un cocktail annacquato,
condito con ghiaccio e disperazione, una goccia di disinibizione; e
quella timidezza, che normalmente t'infiamma le gote, era sparita,
pestata, schiacciata, come l'uva di quel vino, che avresti tanto
voluto sorseggiare.
Uno sguardo vuoto osservava la scena
davanti a sé. Vivevo un film a rallentatore, ero spettatrice passiva
di ciò che mi succedeva dinnanzi, una scena magistralmente girata,
dove un branco di pecore e caproni davano sfogo ai loro istinti
primordiali, trasudando ormoni da ogni poro, nel disperato tentativo
di ingroppare la cavalla davanti.
Non importava quanti anni avessi,
cosa facessi nella vita, cosa ti portasse in quell'affumicatoio per
caprioli.
Bastava che alzassi la gonna, e il gioco era fatto.
Nell'aria si respirava sudore e testosterone.
Fragranze di miele e
foglie di acacia, rosa canina e muschio bianco, si fondevano
perfettamente con l'essenza odorosa della disperazione umana.
Le mie
narici tossichiavano , nell'estrema speranza di respirare,
affannosamente, un po' di Ossigeno puro.
Un'unghia rosicchiata, soffocata da
chili di smalto trasparente, contro un'onicofagia, che da sempre mi
fagocitava la vita, tamburellava nervosamente, picchiettando contro il
vetro di quel drink che portavo in mano.
Il secondo, il terzo, chi
può saperlo.
Ero troppo impegnata ad annegare le mie capacità
cerebrali in un alcool scadente. E ad osservare, come una spettatrice
lontana mille galassie da quel luogo, l'estrema consumazione di una
serata, che scorreva rosicchiata, mangiucchiata, e perforata, sotto
la suola delle mie bellissime scarpe.
Mi avviavo mesta verso la via di casa,
quei 102 passi che mi separavano, dal calore del mio nido.
Ero triste, e forse un po' felice, lo
sguardo annebbiato da litri di vodka, che mi erano scivolati in gola,
senza che me ne accorgessi.
Un passo incerto, un'andatura nuvolosa.
Due piedi nudi, grandi quanto quelli di una bambina di sette anni,
saltellavano qua e la, danzando al ritmo di una musica immaginaria;
sobbalzando un poco, trascinandosi dietro un paio di scarpe
bellissime, che mai avrei dovuto togliere.
Un'altra storia di scarpe, che
adornavano il braccio di una bambina troppo cresciuta, che moriva nel
desiderio di ricevere un caldo abbraccio, in quei 102 passi infiniti,
che la separavano dal calore del suo nido.
[Esiste al mondo chi ancora lo chiama
“Il cammino della vergogna”.
A me piace chiamarlo “la
disperazione del venerdì sera”.
Non ti accorgi mai, quale piega potrà
prendere la tua serata, finchè non ti ritrovi fuori da una
discoteca, grande quanto il bagnetto di casa tua, e soffocante quanto
questo, sola, inerme, annaffiata da un alcool scadente, che impedisce ai tuoi neuroni anche le più semplici sinapsi. Con in mano le tue scarpette da ballo, nuove di zecca e nere
fiammanti, che trasudano sesso da ogni poro. Sfoggiate al braccio
destro, come una borsetta di Prada, quella borsetta che non avresti mai voluto avere.
E con un desiderio umano, che ti lacera dentro.]
E con un desiderio umano, che ti lacera dentro.]
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