Io non ti ho conosciuto bene_ No.
Ma hai partecipato ad una Fase fondamentale della mia vita_
Una Fase particolare_
Dove una ragazza incontra una Penna Nera_
Ed entra finalmente in contatto con la Vera Se Stessa_
Riesce a provocare l'Eruzione della sua Anima Vulcanica_
In un Fiume di Lava e Parole_
Scrivo una Marea di Stronzate Criptiche_
Ma Chiedilo Alla Polvere_ Anche lei si Trasforma in Cristallo_
Grazie di Cuore_
Viaggiare è come perdere se stessi, e ritrovarsi ad ogni
fermata di quella caotica metro.
Ci sono viaggi infiniti, scomodi, come il guscio di una
lumachina; e compressi, come il tonno dentro la sua casetta di latta.
Tutto è astratto, ovattato, sfumato. Il mondo non mi appare
mai nitido come dovrebbe essere, o forse sono io che non osservo mai con le
giuste lenti.
Quando sei alla ricerca della tua vera essenza, ogni persona
che incroci per la tua via, risulta fondamentale, per la tua crescita personale.
Ognuno porta dento di sé un pezzetto di te.
Ogni sguardo incrociato, pesa come un macigno, al di sopra
del mio capo. Ogni mio sorriso è un doloroso squarcio su quell’immacolato viso,
che porta i segni di una guerra infinita.
Difficile essere se stessi, quando sai di non poterlo essere
fino in fondo.
Difficile incidere su un pezzo di carta, un pezzetto di te,
se quel pezzetto, è una membrana che ancora avvolge il tuo impavido cuore,
ammalato d’amore. 
Quella ragazza, poco più grande di te nasconde al suo
interno un mondo fantastico. Un mondo che profuma di fantasia e dolcezza, un
mondo innocente, protetto dalla retina di un paio di occhi leggeri e soavi. La
timidezza infiamma il suo volto e s’impossessa di lei, prepotente come un
terremoto. Ho come la sensazione che potrebbe prendere fuoco, da un momento
all’altro. L’istinto di protezione nei confronti di quella fragile farfalla, mi
cattura, violento, come non mai. Mi schiaffeggia in faccia la realtà, mi fa
ribollire il sangue nelle vene, mi scivola, come un pezzo di ghiaccio sciolto
al sole, percorrendo le mie cavità interne. La reazione dell’intestino
all’intrusione di quel liquido esterno, si manifesta con un leggero brontolio,
che dalle viscere risale fino alla regione cardiaca. Le calde lacrime fanno
capolino, sfuggendo, con mio immenso orrore, al mio impassibile autocontrollo.
Nessuno mi guarda, eppure sento la pesantezza della realtà,
schiacciarmi le esili spalle.
Quella ragazza non ha bisogno di te, è una farfalla
meravigliosa, che altro non aspetta che stropicciare le sue ali, e spiccare il
volo. Possiede la freschezza di quell’ingenuità, che tu hai perduto troppo
presto.
Due insegnanti, due maestri di vita, prendono posto dinnanzi
a me. Sollevo il mio debole sguardo da terra, combattendo una battaglia
infinita contro la timidezza, ricordo lontano di un’infanzia spenta troppo in
fretta, come un fiammifero contro una tempesta di vento.
Leggo ad alta voce le mie insignificanti parole, dall’alto
di una platea, composta da mille occhi attenti.
Sguardi che non ho mai incrociato, divorano la mia essenza,
parola dopo parola, morso dopo morso. Un semplice esercizio di scrittura, e di
coraggio, mi ha ridotto in brandelli, di fronte ad un mondo che mai ho
incontrato prima di ora. Sguardi amichevoli, che mi regalano l’abbraccio più
caldo che io abbia mai ricevuto.
Difficile rimettere insieme i cocci di una ragazza
sgretolata, fatta a pezzi da una bestia interna, che fagocita voracemente gli
organi vitali, affamata di vita. Della mia vita.
Concludo la mia lettura dall’alto di quella platea,
assaporando fino in fondo le mie pillole di una gloria apparente. Affronto lo
sguardo dei miei maestri, due uomini, rigida come una statua di ghiaccio. I
miei occhi vuoti, simili a bottoni di una bambola, tentano invano di tradurre
le espressioni in emozioni; e intanto una nuvola di vapore, esala dalla mia
bocca ansante, nell’aria appannata della sala.
Non conosco quei due uomini. La loro soavità e freschezza
non mi appartiene; i loro sorrisi, le loro parole, mi colpiscono, e penetrano
dentro una ferita profonda, che non smette più di sanguinare.
Le loro pupille riflettono una me stessa che non riconosco.
Una donna consapevole delle sue fragilità, e dei suoi segreti nascosti.
Un’anima vulcanica, che non riesce più a contenere la sua lava.
E’ vero, non ti conoscevo, non ti ho mai conosciuto davvero.
Ricordo a tua serenità, la tua voglia di vivere, i tuoi cornetti Algida.
Ricordo il modo in cui ti godevi la vita, in cui riuscivi a
trasmettere quell’amore per il sapere, attraverso una scarica elettrica, che
percorreva la mia spina dorsale.
Si chiama forse carisma? Passione? Amore per la vita?
Non lo so. E’ vero, io non ti ho conosciuto bene.
So solo che avevo perso me stessa, e tu, voi, mi avete
aperto un mondo. Un mondo bellissimo, costellato da sincerità ed emozioni, da
parole, pensieri, immagini, impresse sulla carta, come colorate metafore dalle
ali leggere.
Le mie esili dita picchiettano i tasti di un’immobile
tastiera. La schermata si prende gioco di me, e si appanna ad ogni parola. La
frustrazione prende il sopravvento, e mi sbatte in volto l’impotenza della mia
anima, di fronte alla fragilità della vita.
Dove tu sia ora, difficile non chiederselo.
Io lo domando alla polvere; perché anche lei, nel ciclo
della sua vita, si trasforma in cristallo.

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