lunedì 16 marzo 2015

Il Risvolto Della Stessa Carta _L'Appeso_

 
Rivolgo La Mia Scrittura A Chi Ancora Costruisce Un'Intera Vita Su Una Menzogna.
A Chi E' Disturbato Dalle Mie Maiuscole.
A Chi Non Si Pone Domande.
E Anche Chi Se Le Pone, Ma Non Muove Un Muscolo Per Cercare Delle Risposte
 



Ci sono incontri nella vita che vorresti non affrontare mai. Esistono realtà nella complessità della nostra esistenza che preferiresti non vedere, non ascoltare, non realizzare.

Esistono persone al mondo che trascorrono la vita in allegria, indossando perennemente una benda sugli occhi.

Ma Mosca Cieca non è mai stato il mio gioco preferito.

Quell’altra parte di me, che porta nelle vene lo stesso mio sangue, tornerà a casa, a colmare l’ultimo tassello di un puzzle composto da briciole e miserie.

E’ la portatrice sana di una malattia incurabile.

Lei non è estranea a questo mondo; lei appartiene ad una cospirazione segreta, composta da bugie e tradimenti; un gruppo di ragazzi che, in un tempo lontano, subirono un terrorismo psicologico, quando neanche possedevano l’età per allacciarsi le scarpe.

Non sono a conoscenza dei dettagli, il nostro rapporto non è mai stato dei migliori. Ha sempre odiato quell’esserino biondo, con gli occhietti vispi e furbi, del colore e della stessa consistenza del miele. Irriverente, peperina, impicciona, sempre in mezzo, con quella maledetta voglia di crescere, di apprendere, di vivere. Non ero certo un boccone tanto facile da digerire. In tutti questi anni le restai sempre nello stomaco, un po’ come un peperone crudo per cena.

Quando entrai, in punta dei piedi, in quel tunnel degli orrori, lei fu l’unica ad accorgersene.

Trovò il campanellino di una bicicletta rosso fiammante sotto il mio cuscino, piccolo trofeo che mi concedevo, per premiare il mio coraggio nel cacciare via quel dente dallo stomaco.

Lei sapeva dove mi stavo dirigendo, sapeva che sarei naufragata, ma non mi disse nulla.

Conosce il peso che si porta dietro un ladro di biciclette.

Battito di ciglia.

E’ bastato socchiudere le palpebre, il tempo di accendere una sigaretta, ed io ho di nuovo 16 anni.

Sono io, un po’ più giovane, i capelli color corvino, gli occhi troppo truccati, la maglia corta, che sfoggia un ventre invidiabile.

Sono sempre io, che lentamente mi coloro del mio sangue, ed assumo la consistenza del liquido, strisciando a terra, pochi secondi dopo. Ad atterrarmi una serie innumerevole di pugnalate, da una mano mancina, esperta, una dopo l’altra mi feriscono, mi lacerano l’anima, ma non mi uccidono.

Non mi uccidono perché sono qua, ad aspettare che Lei bussi a quella porta, per prendermi ciò che mi spetta, e per morire nel calore di un suo abbraccio.


 

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