Oggi, 15 Marzo, Presto La Mia Voce A Chi Non Ce L'ha.
A Chi Vorrebbe Urlare Ma Non Ha La Forza Di Muovere Un Muscolo.
A Chi Soffre In Silenzio.
A Chi Muore Lentamente.
Rivolgo La Mia Scrittura A Chi Insegna A Delle Povere Anime Ad Uccidersi.
A Chi E' Disturbato Dalle Mie Maiuscole.
A Chi Vive Annoiandosi.
A Chi Non Si Pone Domande.
Rompo Le Palle Perché Sono Nata Per Qualcosa.
E Se Devo Provocare, Che Provocazione Sia.
_Leggetemi E Condividetemi.
Amen_
Sei entrata nella mia vita, amica mia, senza bussare alla
mia porta, senza chiedere il permesso, senza neanche guardarmi in faccia. Era
il tramonto di uno di quei giorni, quelli che scorrevano lisci e tiepidi, nell’attesa
infinita di un’onda, che non arrivava mai. La finestra socchiusa, rifletteva sul
pavimento il triangolino di luce dell’ultimo sole. Mi piacevano i tramonti
prima di conoscerti. Mi trasmettevano quella sensazione d’infinita attesa, che
da sempre antecede il calare delle tenebre.
Ti sei distesa accanto a me, e, senza neanche voltarti, hai leccato
le mie calde lacrime, e hai chiuso la tua mano nella mia, per un tempo
infinito. La tua morsa era talmente forte da raggelarmi il sangue, e pietrificare
l’intero mio corpo.
Possedevo tutto e niente, contemporaneamente. Desideravo
tutto, e il contrario di tutto, volevo scappare ovunque, e non lasciare mai il
mio morbido guanciale.
Quando c’eri tu nella mia vita, i paradossi e le
contraddizioni erano all’ordine del giorno. I sorrisi erano sempre esagerati, gli
occhi sempre troppo spenti.
Tentavo invano di fare un po’ di spazio dentro di me, per
fare posto alla mia nuova amica.
Ma tu, amica mia, eri sempre incontentabile, furba e
meschina.
Quella sera allungai la mano, per tenderla a te in gesto di
amicizia, ma la tua avida morsa mi afferrò per il braccio, fino a succhiarmi
via il cuore.
Ti sfoggiai con disinvoltura anche quel giorno, quando ti
presentai alla mia amica d’infanzia. Storceva il naso e ti guardava con
disprezzo. Non capiva quanto eravamo forti insieme.
Più il tempo passava, più mi penetravi nel profondo, fin
nelle viscere, eravamo l’una il completamento dell’altra. Come una perfetta Ape
regina, mi nutrivo del mio miele, e più ne mangiavo più avvertivo quel
desiderio d’onnipotenza, quello che mi solleticava le orecchie facendomi
sobbalzare ogni volta. Quel delirio inarrestabile, chiudeva il mio caldo
sorriso, i denti digrignavano, gustando un misto tra eccitazione e terrore
puro. Le mie ali leggere si incollavano a quella sostanza zuccherina, dalla consistenza viscosa, che era a mia
culla ma anche la mia tomba. La luce nelle mie pupille bionde si spegneva
lentamente, riflettendo la Luna.
Ancora non sapevo cosa mi stava succedendo, ancora non vedevo
la malvagità del tuo essere.
Ma tu, dolce ballerina dalle scarpette lilla, mi volteggiavi
dinnanzi, mi schiaffeggiavi in faccia le tua natiche, e mi possedevi, con la
tua violenza inaudita.
Facevo l’amore con te una volta, e poi ancora un’altra, ed
era sempre la prima volta. Entravi dentro di me danzando, e con una violenza
straordinaria, assorbivi ogni mia sostanza liquida, abbandonandomi a terra in
fin di vita.
Tu eri l’avvoltoio dominatore, quel demone leggero e
profumato, dalle scarpette lilla.
Io ero una bella fatina, a cui tu avevi tagliato le ali.
Facevo l’amore con una donna per la prima volta.
Facevo l’amore con te, ballerina dalle scarpette lilla, e
abbandonavo me stessa.
Facevo l’amore con te, e desideravo morire.
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