sabato 14 febbraio 2015

Il Terzo Boccone Amaro_ Affetto Sdentato___


Quando tutto sembra andare di Merda non bisogna mai dimenticarsi che c’è qualcuno dall’altra parte del mondo che sta peggio di te. In alcuni casi l’altra parte del mondo coincide con la stessa claustrofobica stanza, dalle pareti di un color bianco sporco, quel colore che ingiallisce nel tempo a causa del troppo fumo respirato. I muri sono sempre le vittime peggiori del nostro fumo passivo.

Arrivo rombando con il mio bolide, tagliando le curve di quel parcheggio sempre sovraffollato, che sembra volermi dire ogni giorno “non c’è posto per te”. Sbuffa la macchina sotto le mie rotonde natiche, e sbuffo io, che vorrei avere il potere di auto-eliminarla a piacere quando non so più dove mettermela.

Mi attraversa pericolosamente la strada un funghetto tutto avvolto in un caldo cappotto decisamente enorme, e un nasino che spunta da un cappellino nello stile grande puffo. “Coglione” vorrei urlare dal finestrino; poi due occhioni chiaramente persi chissà dove, di certo molto lontani da qui, mi sorridono. La sigaretta stretta tra l’indice e il medio della mano sinistra si consuma piano piano, inquinando quel poco che resta di bianco candido, in questo posto così sporco. Chissà, forse lei è talmente avanti che pure la sua sigaretta vive di vita propria, e si fuma da sola. Probabilmente lei ora si trova in qualche isola dispersa nell’oceano pacifico, e balla la samba coperta unicamente da un bikini colorato, e qualche fiore qua e la che le rinfresca i capelli.

E’ la mia amica Minnie, che si ferma ad un centimetro dalla mia lancia, con fare da donzella che attende di  montare in sella della Ferrari del suo manzo. noncurante ovviamente del pericolo scampato, allarga il suo volto scavato nel sorriso migliore che possiede. Essendo sdentato non è proprio un bello spettacolo, ma chi si accontenta gode. (Chi avrà mai inventato sto detto cretino poi…)

“Parcheggi?, ti aspetto!”

Tenera la mia nuova migliore amica, l’ho sempre detto che Minnie è mezzo metro avanti a tutte, e poi queste sono le prime parole che sento uscire da quelle corde vocali mezze marce, che conferiscono un vocione da Gabibbo rauco ad un corpicino così esile.

Con il cuore gonfio di gioia lancio qualche urletto stridulo, “Mi ha parlato, mi ha parlato”, lo sapevo che Minnie spacca, e alla grande anche! Sotto l’effetto di questa euforia momentanea mi cimento in un parcheggio in retromarcia, come un’esperta pilota di formula uno realizzo un posteggio degno di nota. Il fatto che una ruota sia su un marciapiede è un dettaglio irrilevante.

Varco la soglia di quell’edificio grigio, dai muri scrostati pervasa dalla delusione: Minnie è scappata, non mi ha aspettato. Si prospetta un altro bell’allegro pranzetto.

Avviandomi verso il cucinino, per recuperare quel vassoio ospedaliero che porta il mio nome, sbatto incidentemente contro un automa. Lo sguardo trapassa la mia persona fuggendo chissà dove.

Minnieeeee, sono io, ci siamo incrociate prima…”

Vorrei urlare ma la voce mi si blocca in gola, il silenzio di questa stanza è assordante.

L’unico rumore costante e ripetitivo che scandisce i minuti di questo infinito pasto è il ruminare di Minnie, intenta a masticare il suo pezzo di carne.

E dire che la sua bocca è spaventosamente sdentata.

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