venerdì 13 febbraio 2015

Il Secondo Boccone_ La Mia Amica Minnie Spacca_


Non sai bene perché questa routine ti faccia schifo. Eppure mi fa schifo, e sono al secondo giorno di terapia. Oggi conoscerò altra gente come me, ragazze che convivono con questo “disturbo mentale” da tempo. Anni forse, e togliamo pure il forse.

Un foglietto di carta con il mio cognome inciso a lettere cubitali troneggia sopra il mio vassoio, questo gli conferisce un’identità propria, è di mia proprietà, solo mia. E io lo cederei volentieri a qualcun altro.

Prendo ciò che mi appartiene e mi avvio al patibolo.

Sulla tavolata quattro tovagliette di carta mi indicano il numero delle mie compagne di sventure.

Mi sorridono loro, felici e contente, stanno meglio di me.

Ma sono una più rincoglionita dell’altra. Io già le odio.

La mia nuova migliore amica Minnie, è una signora di quarantacinque anni, un automa che cammina, sembra sia perennemente assente, immersa in un suo mondo parallelo. Lei è la mia migliore amica perché non parla, è un tutt’uno con il divano, dal quale si schioda unicamente per drogarsi di tabacco, e andare a “mangiare il caffè” dopo i pasti. Chissà se lo mastica bene il caffè, pare le abbiano tolto pure i denti.

Ma di fronte a me si eleva un colosso dalle dimensioni gigantesche, una montagna talmente enorme da entrare nei guinnes dei primati per le sue dimensioni spropositate. Il suo nome è Pucca, e pare che il suo esserino bavoso debba restare a consumare il nostro misero pasto ospedaliero con noi, sotto il tavolo, invadendo il mio spazio vitale con il suo ammasso di peli volanti. Friskies si chiama, sai come i croccantini che le piacciono tanto! Ovvio, perché non ha ancora avuto la possibilità di gustare il pollo-da-ospedale; in fondo se facessi inavvertitamente cadere la coscetta a terra… la cagnetta andrebbe dall’anagrafe a cambiare il suo nome di battesimo in Polla.

Ma nulla si può fare in carcere. Gli occhi del demonio osservano ogni tuo movimento, anche la mia totale incapacità di tagliare quel pezzo di carne della consistenza di un masso roccioso, con le posate di plastica. Pietra vince coltello. E’ la legge della natura.

Magari potrei lanciarlo sopra a Pucca, e alimentare il colosso che mi impedisce di vedere al di fuori di questa stanza, troppo piccola per permettere all’aria di circolare, troppo piccola per respirare.

Intanto fuori la vita continua a scorrere, la gente a camminare, le macchine circolano, le nuvole si muovono, nella loro folle corsa a nascondere quel poco di  sole che ancora illuminava il mio volto.

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