Non sai bene perché questa routine ti faccia schifo. Eppure
mi fa schifo, e sono al secondo giorno di terapia. Oggi conoscerò altra gente
come me, ragazze che convivono con questo “disturbo mentale” da tempo. Anni
forse, e togliamo pure il forse.
Un foglietto di carta con il mio cognome inciso a lettere
cubitali troneggia sopra il mio vassoio, questo gli conferisce un’identità
propria, è di mia proprietà, solo mia. E io lo cederei volentieri a qualcun
altro.
Prendo ciò che mi appartiene e mi avvio al patibolo.
Sulla tavolata quattro tovagliette di carta mi indicano il
numero delle mie compagne di sventure.
Mi sorridono loro, felici e contente, stanno meglio di me.
Ma sono una più rincoglionita dell’altra. Io già le odio.
La mia nuova migliore amica Minnie, è una signora di
quarantacinque anni, un automa che cammina, sembra sia perennemente assente,
immersa in un suo mondo parallelo. Lei è la mia migliore amica perché non
parla, è un tutt’uno con il divano, dal quale si schioda unicamente per drogarsi
di tabacco, e andare a “mangiare il caffè” dopo i pasti. Chissà se lo mastica
bene il caffè, pare le abbiano tolto pure i denti.
Ma di fronte a me si eleva un colosso dalle dimensioni
gigantesche, una montagna talmente enorme da entrare nei guinnes dei primati
per le sue dimensioni spropositate. Il suo nome è Pucca, e pare che il suo
esserino bavoso debba restare a consumare il nostro misero pasto ospedaliero
con noi, sotto il tavolo, invadendo il mio spazio vitale con il suo ammasso di
peli volanti. Friskies si chiama, sai come i croccantini che le piacciono
tanto! Ovvio, perché non ha ancora avuto la possibilità di gustare il
pollo-da-ospedale; in fondo se facessi inavvertitamente cadere la coscetta a
terra… la cagnetta andrebbe dall’anagrafe a cambiare il suo nome di battesimo
in Polla.
Ma nulla si può fare in carcere. Gli occhi del demonio
osservano ogni tuo movimento, anche la mia totale incapacità di tagliare quel
pezzo di carne della consistenza di un masso roccioso, con le posate di
plastica. Pietra vince coltello. E’ la legge della natura.
Magari potrei lanciarlo sopra a Pucca, e alimentare il
colosso che mi impedisce di vedere al di fuori di questa stanza, troppo piccola
per permettere all’aria di circolare, troppo piccola per respirare.
Intanto fuori la vita continua a scorrere, la gente a
camminare, le macchine circolano, le nuvole si muovono, nella loro folle corsa
a nascondere quel poco di sole che
ancora illuminava il mio volto.
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