Il mio vassoio mi aspettava, adagiato sul davanzale del
cucinino. Non sapevo cosa contenesse, ma neanche mi interessava. Ero pronta ad
ingerire qualsiasi veleno mi spettasse, per spiare i miei peccati, e accogliere
la mia punizione divina. All’interno del primo contenitore carote spezzettate
grossolanamente affogavano in una palude oliosa e verdastra. Nel secondo
fettine di vitello erano ammassate un sopra l’altra, ricoperte da un sughetto
che era passato da tempo ormai allo stato di solidificazione. Come quando fai
riposare in frigo un arrosto per una notte intera, il grasso si isola, è
megalomane lui, e sa di incarnare il male; rimane ammassato ai bordi della
pentola sotto forma di blocchetto bianco. Ti osserva con aria di sfida, e tu
sai che anche sta volta vincerà lui.
Normalmente osservare questi esperimenti scientifici di
passaggio dallo stato liquido al solido, un po’ come “l’acqua bolle a 100
gradi”, mi mettono un po’ di ribrezzo, e un senso di nausea insopportabile. Ma
adesso non è tempo di farsi assalire da sensazioni negative. Da buona cristiana
scarto la mia pagnotta a forma di fresbee , “spezzò il pane e rese grazie”, e
questo, come un’antica rovina greca, si sgretola sotto i miei occhi,
trasformandosi in un ammasso di macerie.
Terremoto di magnitudo 4.1. Per fortuna non ci sono morti,
solo un ferito, non in pericolo di vita, una certa Elisa Belli… Interrompiamo
il collegamento. Ci scusiamo per il disagio.
Le posate di plastica fungono un po’ da ornamento, in quanto
di certo non permettono di tagliare la carne, meno che mai di uccidere quei due
occhi malefici che osservano scrupolosamente ogni mia mossa, quasi fossi un
esperimento scientifico.
Un indice affusolato e accuratamente laccato indirizza la
mia attenzione ad un cartellone colorato appeso ad una delle quattro mura che
sembrano schiacciarmi. Non ho bisogno di leggerlo inciso a caratteri cubitali
che devo consumare tutto il mio pasto; nulla è troppo, o troppo poco, il cibo è
pesato e scelto accuratamente da dietologi e nutrizionisti, prelevato nella
quantità giusta dal mangime destinato al bestiame.
Armata fino ai denti della mia arma migliore,
l’indifferenza, trapasso con lo sguardo tutto ciò che mi circonda, cercando di
scorgere oltre l’orizzonte un barlume di speranza, una piccola lucina che mi
scaldi il cuore, e sappia rivelarmi, attraverso il calore della sua magia, cosa
ancora si nasconde nel mio futuro.
La vita degli artisti è spesso segnata da grandi sofferenze.
E l’ora della mia morte no, non è ancora arrivata.
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