domenica 7 dicembre 2014

Anche Io Amo Il Mio Lavoro

Non sono mai stata una ragazza "facile". Non sono mai stata una di quelle ragazze pacate, tranquille, sorridenti, in pace con il mondo; una di quelle che trasmette gioia e amore dagli occhioni da cerbiatto perfettamente mascarati, la piega dei capelli perfetta, il rossetto mai sbavato, i denti bianchissimi, un sorriso rassicurante. Come a dire "sei a casa!". Sono una ragazza che va alla giornata, che esce una volta tiratissima per andare semplicemente a seguire una lezione all'università, e magari vaga per la città come una scappata di casa il giorno dopo, con l'inquietudine dipinta sul volto, in cerca di non si sa cosa, scattando come un razzo al pericolo incombente di incontrare persone conosciute, non sia mai, e tentando invano di scappare dalla "perfezione", che meno che mai la rappresenta. Eppure la circonda. La vede in ogni volto che incrocia.
Un giorno mi hanno detto che nelle cose che scrivo non metto mai un lieto fine. E certo, mica scrivo romanzi, graphic novel, fumetti. Le mie non sono neanche storie. Si mette il lieto fine nei flussi di coscienza? Io credo che la cosa principale sia la sincerità, questa è la cosa che uno ricerca, la realtà delle cose, la vita vera; e se non esiste un "vissero tutti felici e contenti" nella mia vita ora, perché me lo dovrei inventare?
Da piccola non ero una bambina facile, ho dato del filo da torcere a mia madre già durante il primo anno di età. Non mangiavo niente, tutto mi faceva schifo, rigettavo pure il latte, sputandolo addosso alla mia adorata mammina. Che avessi già delle frustrazioni da neonata malinconica da vomitare addosso a qualcuno..? Chi può dirlo...
Il caso vuole che vivessi d'aria, almeno fino al primo anno di asilo, e per questo forse ero giusto un po' più piccola del "normale", gracilina, bassa di statura (beh, questo non è cambiato molto...). Dall'età di tre anni la gente incominciò a chiedermi se avessi sbagliato scuola, istituto, non potevo avere l'età giusta per... tutto a causa della mia "piccolezza", e da lì la storia continuò in eterno, delle volte ritorna tutt'ora, nonostante i segni dell'età si vedono ormai, ho passato la ventina da un lustro di tempo, posso ritenermi ufficialmente vecchia.
Quando arrivi alle elementari inizia la fase del "cosa vuoi fare da grande"? Tutte le bambine normali aspirano all'insegnamento, vogliono fare la maestra, vogliono essere come la maestra, perché quando si è bambine si è alla continua ricerca di un modello da imitare, una figura a noi cara, che fa parte integrante della nostra giovane vita, che si ama, si venera, si copia.
Beh, io non ero una bambina normale, e non so neanche esattamente che modello da seguire mi fossi ficcata in quella testolina malata, perché io, già all'epoca, avevo le idee molto chiare: volevo fare il calciatore (uomo ovviamente, forse prima dovevano farmi capire che ero una femminuccia), oppure la cantante. Andavo a giorni alterni: il lunedì collezionavo figurine di calcio, mi studiavo la vita di Buffon, (ancora ricordo la sua data di nascita), mi riempivo la camera di poster. Il martedì sequestravo "Sorrisi e canzoni", mi strappavo le pagine riguardanti Sanremo (che seguivo assiduamente), e mi studiavo a memoria tutti i testi delle canzoni, e una volta imparate quelle mi inventavo dei testi miei. Ero una piccola cantautrice, insomma.
Se c'è una cosa che ricordo perfettamente è che mio padre mi ripeteva continuamente che lui sapeva di voler fare il medico già dall'età di 5 anni. Lui già sapeva che la medicina era la sua strada, conosceva il suo futuro, era già determinato a realizzare i suoi sogni. E che dire, chi l'ha dura la vince, ha studiato medicina tutta la vita, e ora è un medico. "Le jeux sont fait", al mondo esistono anche i bambini prodigi, dicono così.
Io me la cavicchiavo nel disegno, ero bravina insomma, anzi andavo proprio alla grande. Nella mia famiglia all'epoca delle scuola medie mi vedevano come la nuova promessa dell'arte, la piccola Picasso, la futura pittrice ecc ecc... Ma dico io, si dicono certe cose ad una bambina di appena 12 anni, in piena crisi pre adolescenziale, nel periodo dei mille cambiamenti, con mille seghe mentali in testa, e soprattutto che tutto sa fuorché cosa farà nel suo futuro, che a tutto pensa fuorché al suo futuro? Soprattutto se la bambina in questione si chiama Elisa Bellino, allora proprio no, mai dirle che diventerà una pittrice. Perché lei sicuramente smetterà istantaneamente di disegnare. Che strano, è andata proprio così.
Da lì in poi cominciò il "degenero", nella mia testolina malata le idee continuavano ad essere molto chiare. Passavo dal voler fare la Hostess, sicuramente farò la hostess, viaggerò in tutto il mondo, prenderò tantissimi aerei, varcherò nuovi continenti, saprò mille lingue, conoscerò tantissime persone diverse. Sarà bellissimo. Ma vorrei anche fare l'infermiera, salvare la vita a tante persone, sentirmi utile, indispensabile, correre per i corridoi degli ospedali, parlare con la gente, sentirmi amata. Sarebbe tutto perfetto se non fosse che svengo alla vista di un ago. Mi piacerebbe anche fare il postino, in bicicletta per le vie della città, a buttare i giornali davanti alla porta (molto in stile film americano, si lo so, guardo troppi film), avrei la mia bicicletta personale gialla, il mio cappellino da postina, e la vita mi sorriderebbe. Si, come in un film di Woody Allen. Ma per favore. Ma non è finita qua, mi piacerebbe anche fare il pompiere, perché no? Nessuno ci pensa mai ai pompieri, eppure anche loro salvano il mondo. E poi adoro le tutine da lavoro, mi starebbe d'incanto. O il medico legale, l'investigatrice, la ricercatrice archeologica, la scienziata...
A volte vorrei fare anche il pescatore, come Sampei (chi non lo guardava Sampei?), oppure l'eremita, o la filosofa...
Invece eccomi qua... Contenta di svegliarmi la mattina e dedicarmi al mio lavoro, per fare quello che faccio.
Perché io faccio... ehm, non lo so nemmeno io.

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