venerdì 3 aprile 2015

Le Petit Chaperon Rouge_ Work In Progress_

[Se Non Avessi Passato Metà Della Tua Vita Ad Autodistruggerti,
Con La Mente Che Ti Ritrovi, A Quest'ora Saresti Presidente]
_Piacere, Sono Elisa, Non Berlusconi_
[tanto-meno-Renzi]
Citazioni Da "Ore Di Sana, Ed Ordinaria Follia"
 


[Questa è una storia che parla di vita_
Una vita Vissuta, Amata, Masticata, Sputata, Bramata, Giocata_
Ma E' Comunque Vita_ E La Vita E' Bellissima Da Qui]
...WorkInProgress... [...]




[E’ una storia vecchia come il mondo.
Era il tempo della discesa in campo del nostro Silvio Berlusconi, noto anche come il grande Cavaliere.
Berlusconi trasmetteva salvezza, agli occhi di ogni cittadino, Presidente del consiglio, e indispensabile, come la saliva che ti si ferma in gola, al momento di deglutire.
L’Italia entrava, in punta dei piedi, in un gioco pericoloso, costellato da Nazioni che gareggiano l’una contro l’altra, in un mercato gigantesco ed invisibile.
Un mercato che assume le sembianze di una donna bellissima ed irraggiungibile, ma ha il sapore amaro della guerra.
Un mercato che ti spinge in alto, fino a toccare le stelle, per poi sotterrarti nello sterco dell’umanità.
Il nostro Stato faceva l’eco agli Stati Uniti d’America, come una fotocopia sbiadita, e a tratti illeggibile. Inutile foglio respinto da una fotocopiatrice senza inchiostro.
Un uomo brizzolato, padre di famiglia, dall’aria gentile, e dall’aspetto caldo e accogliente, colorava una stradina di periferia, abitata principalmente da spazzatura e da episodi di cruda violenza. Passeggiava lentamente, ogni giorno, macchiando quel quartiere malfamato di gioia e solidarietà. Sporcava il terreno arido e secco, con un mazzo di tulipani rossi, colore che adornava spesso la bionda chioma, della figlia Roxane.
Era un giornata umida, avvolta in un caldo appiccicoso di inizio maggio, che ti succhiava via le forze. L’orologio singhiozzava i secondi, l’aria ti si stringeva la gola, bloccandoti il respiro.
La vecchia strada di periferia non si colorava più di tulipani, non profumava di freschezza. Quell’uomo brizzolato, capace di far resuscitare una primula nel deserto, si era improvvisamente trasformato in un padre di mezz’età, con qualche capello bianco di troppo, e le spalle ricurve.
Percorreva quella strada famigliare chino su se stesso, come per abbracciarsi. Ad ogni passo una lampione si spegneva, nella desolazione di un vuoto infinito; e quei tulipani, che non avrebbero adornato la chioma di sua figlia, chinavano mestamente il capo.
Un uomo, come tanti, saliva al potere, acquistando la prestigiosa carica di Presidente del Consiglio.
Un altro uomo, come tanti altri, perdeva il lavoro, e arricchiva la sua anima di un pesante vuoto; una macchia di fumo su una parete di un bianco immacolato.
Il consumismo si celava alle spalle di una solida politica liberale. Il cittadino aveva la totale libertà di distruggersi con le proprie mani, di fagocitarsi con i propri denti, ed affondare miseramente, in un mare di sterco umano, mascherato da fortezza.
La vergogna, l’odore acido del fallimento aleggiava nell’aria.
Un fiume di sangue e membra umane, facevano da contorno ad una grande nazione, solido ponte, anello di congiunzione tra due superpotenze mondiali: l’America del dollaro, e la Russia della Polka.
Il consumismo diveniva il pane quotidiano sulla tavola di ogni italiano, e bersaglio maggiore del mondo cattolico e progressista.
Si accusano gli affamati di dollari, di peccare di egoismo, e di ricercare ossessivamente la propria felicità.
Eppure il leader Silvio Berlusconi pareva la persona più adatta a mettersi alla guida di tali ideali, perché i principi liberali e liberisti, prima ancora di propugnarli, lui stesso li incarnava. Lui era il profitto, il capitalismo, il mercato libero, era la nostra televisione. Ah, la televisione, strumento del demonio! Trasmetteva ciò che da sempre si nasconde sotto pesanti mantelli di pudore: la nudità dell’essere umano.
Ma cosa sarà poi questo famigerato consumismo? Perché denuda gli animi, e dissemina così tanto terrore?
L’uomo brizzolato si colorava le stanche scarpe di polvere, percorrendo quell’arida strada di periferia, che rifletteva i raggi solari, emanando il calore della terra. Quel calore che alimentava la fiamma del suo inferno interiore.
L’uomo brizzolato calpestava il cemento rovente di un classico ponte, anello di congiunzione tra due superpotenze mondiali, e punto d’incontro di teppistelli a ladruncoli.
Assaporava lentamente la delusione che avrebbe presto colorato gli innocenti occhi della sua bambina, e accompagnato il disprezzo di sua moglie.
Un meraviglioso mondo, punteggiato di finti sorrisi e magnanimi gesti, accoglieva il suo freddo corpo, e inghiottiva la morte della sua anima brizzolata, come un caldo terreno fagocita un cadavere sotterrato.
Questo mondo veniva nominato “la società delle maschere”.
Il consumismo, era una valanga di critiche e aspre polemiche, che sgorgava come fiato sprecato, dalle labbra dei cattolici e progressisti.
Il consumista era quel dannato demone, dalla fame insaziabile, che in seguito ad aver soddisfatto i bisogni primari, iniziava la folle corsa verso il superfluo.
Il consumista assumeva un ruolo estremamente meritorio, in quel mondo affollato di maschere, di difensore di un diritto fondamentale dell’uomo, il diritto di perseguire il valore più soggettivo che esista, la propria felicità personale.
Quale sarà dunque, il segreto della vera felicità?
Un cuore stanco, affannato, sovraccaricato di troppe preoccupazioni e dolori, sbatteva violentemente una porta alle sue spalle. Ultima manifestazione di una giovane forza, che aveva lasciato il posto ad una povera vecchiaia. Una vecchiaia che come un vento gelido, solleticava il capello brizzolato, e come un’aria pesante addensata di velluto, gli stringeva la gola, soffocando il respiro.
Il padre di una dolce bambina, dai capelli colorati di tulipano, si domandava incessantemente il segreto della tanto ambita felicità personale. La mente si affollava di mille interrogativi, e l’affetto di quell’amorevole bambina sembrava non bastare più.
Nulla poteva più salvare un’anima vuota, bruciata, e vomitata. I cui resti si allargavano in un finto sorriso, rivolto ad una bambina. Una bambina che non si colorava più di tulipani, ma avvolgeva il suo esile corpo in un rosso mantello.
Era il tempo della discesa in campo di un uomo senza scrupoli, Presidente del governo italiano.
Era il tempo della perdita dell’innocenza di un’esile fanciulla, che non si colorava più di rossi tulipani, ma vestiva il suo corpo di un rosso mantello.
Il mantello della vergogna.
Un volto nuovo colorava le pagine di mille favolieri.
[…]
 

 
 

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