Viaggiare è come perdere se stessi, e scendere in tutte le
stazioni della metro, per ritrovarsi.
Quella era la mia strada verso casa. E ogni giorno mi
regalava un’emozione diversa. Ogni giorno perdevo me stessa, e mi rispecchiavo,
la sera, negli occhi stanchi di chi mi sedeva di fronte.
Ragazze indiane singhiozzano per i vagoni di questo treno
sotterraneo. Incrociano i miei occhi. Ma è un lampo, non ho tempo di formulare
un pensiero, che già sono altrove.
Fermo una donna sovraccarica di spazzatura da vendere, un
bambino le scodinzola dietro, si nutre della polvere, e del sudore umano. Mi
aggrappo al suo braccio, “le cedo il posto se vuole signora”, uno sguardo
inorridito accompagna uno sfiato al sapore di limoncello. Mi alita in faccia, e
io mi ubriaco di felicità.
L’ingenuità, negli ultimi chilometri che mi separano da
casa, regna sovrana.
Un ragazzo urla a gran voce il mio nome, senza fare rumore,
senza emettere un suono. Il suo sguardo mi solleva il mento attirandolo su di
se, come una calamita.
Ha stile il ragazzo, è uno di quelli che viaggiano con la
mente. Suona una batteria immaginaria, e tiene il tempo picchiettando il piede
a terra. La scarpetta di cristallo smuove un poco la polvere, facendola
danzare.
Ho visto bambini rovistare nella spazzatura, e cibarsi di
resti animali.
Ho visto mamme riposare accasciate ai margini della
provinciale, coprendosi con i giornali, buttati a terra dalla gente.
Ho visto figli aggrapparsi ai capelli di queste madri, e
sorridere al vento.
L’ingenuità regna sovrana, nell’ultimo tratto di strada, che
mi separa da casa.
Io non ho mai desiderato di lanciare delle monetine a quella
donna. Volevo solo acquistare una pagnotta, e fare a metà con lei, e suo
figlio.
Delle volte succede che, l’ingenuità regna sovrana, ma basta
poco, per colmare un vuoto, gigantesco quanto una voragine, e tappare uno di
quei maledetti buchi interni, che tanto mi tormentano.
Un altro ragazzo è volato via danzando. Rapido, come un
soffio di fiato al sapore di limoncello, che mi ubriaca di felicità, e mi
abbandona per la via, ferma ad aspettare, a bocca asciutta.
Ad aspettare che qualcuno sfiori delicatamente il mio piede,
per infilarmi quella maledetta scarpetta di cristallo.
L’ingenuità regna sovrana, nell’ultimo tratto di strada, che
mi separa da casa.
Trascorro i miei ultimi istanti di vita, accanto ad un
individuo interessante. I suoi occhi pesano come sassi nella mia debole
scollatura. I due ciuffetti bianchi mi salutano, chinandosi ad ogni stop. Il
naso gocciola lacrime dorate, che scivolano lentamente sulle avide labbra, come
acqua nel deserto. L’indice della mano sinistra riposa all’interno di una
narice, che lo ripara dalla crudeltà del mondo esterno. A giudicare dai panni
indossati dagli altri componenti della mano sinistra, è chiaramente deducibile
che anche le altre dita abbiano provato l’ebbrezza di quella penetrazione.
Una Cenerentola, non ha sempre un principe a portata di
mano, pronta a salvarla, e a portarla in un castello.
Spesso il castello se lo crea da sola, e, altrettante volte,
deve anche distruggerselo.
Sollevo le mie stanche natiche dal sedile della metro. La
polvere mi danza accanto, persone che non individuo, mi si accalcano addosso;
una ventata al sapore di limoncello, inebria per un secondo la mia mente.
Poggio una salvietta profumata sul ginocchio dell’individuo
interessante. Immediatamente ritira gli occhi dalla mia scollatura,
abbracciandosi rapidamente la gamba. Gli sorrido cosciente di aver violato, con
la mia solita irriverenza, la sua fantasia perversa.
Una Cenerentola, al giorno d’oggi, deve saper affrontare la
realtà.
Deve saper sopportare le tenebre di un treno sotterraneo e
perverso, per ritrovare le eccitanti luci della città; che sono sempre lì ad
aspettarmi, e mi illuminano il viso, lasciandomi alle spalle l’oscurità di una
metro.
Come la polvere, saltello a passi di danza, percorrendo
quell’ultimo pezzo di strada, che mi separa dal calore di casa.
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