domenica 22 febbraio 2015

Il Sesto Boccone Amaro_ Tempo Di Una Sigaretta_


E’ quando la vita scorre veloce, un giorno hai 16 anni e ti prepari per andare alla festa; tacchi a spillo e minigonna, sei bellissima, e invincibile. Il giorno dopo ne hai 18 e parti sgommando con la tua nuova auto (è vecchia e quasi da rottamare, ma per te è un gioiellino); scali, tagli le curve, sorpassi con doppia linea continua, fiera di quel foglietto plastificato, con la tua foto, che testimonia l’idoneità a condurre il veicolo.

Il mondo è mio, niente di male potrà mai succedere; controllo allo specchio il volto della felicità, l’occhio perfettamente truccato mi trasforma in Cleopatra, regina d’Egitto, famme fatale. Una rapida passata di rossetto su quelle labbra un po’ troppo spente, e rialzo lo specchietto in modo che mi permetta di vedere chi mi sta dietro. Alle mie spalle una fila infinita di vetture, ma dinnanzi a me non si vede nessuno. Chi mi ama mi segua, di certo non vuol dire che sono una pessima guidatrice.

Una giovinezza spensierata, costellata da amori brevi ma intensi, annaffiati da una bottiglia di votka e mandati alle fiamme nella durata di una sigaretta. Quella sigaretta che è stretta tra le tue dita, resta lì, immobile, chiusa come in una morsa tra l’indice e il medio. Di tanto in tanto sbuffa un po’ di fumo, come quello che soffia il tuo caldo fiato in faccia al tuo avvoltoio, e piange lacrime di cenere. Cadono a terra creando un’esile montagna grigia, che viene calpestata dalla gente, quella stessa gente che ti è amica, ma non sa ascoltare il tuo pianto.

Amori consumati nel tempo di una canzone, gocce di sudore mescolate a lacrime di votka, passioni che vivono un istante, impresse nel tessuto dei divanetti di una discoteca, e muoiono nel tempo di una sbornia.

Non sono mai riuscita a tenermi un ragazzo, mai per più di due giorni.

Eppure la gente amica mi vede sempre uguale, sono sempre la stessa, e a me va bene così. Sono io che scelgo il mio destino, sono più forte di tutti, perché io non ho bisogno di amare per sentirmi viva, non ho bisogno di una persona accanto per superare le difficoltà.

Una grande donna, si sa, deve saper stare bene da sola.

E io sono una grande donna.

Ho sempre pensato che quel vuoto, quel piccolo buco in fondo al cuore, che a volte sanguina, e mi lacera le interiora, fosse la mancanza di un amore.

Ma anche quando è arrivato, dal nulla, sbucando come un fungo, apprezzando le mie qualità, le mie passioni, i miei talenti.  Anche quando è arrivato lui, che mi ha fatto sorridere, mi ha protetto, coccolato e amato. Tutto nel tempo di una sigaretta, che si consuma da sola, che piange quelle lacrime di cenere, che ormai conosco bene, ma che non fumo più.

Ma anche nascosto sotto quella potente ala d’amore, il vuoto restava, ben radicato all’interno di me.

Non è questa la chiave, non è questa la via d’uscita.

Lui ci ha provato, ha fatto di tutto, ma non è lui che deve salvarmi.

Non sono capace di amare, perché non ho mai imparato ad amare me stessa.

A scuola quando insegnavano a “volersi bene, perché sei la sola persona con cui passerai il resto della tua vita”, io non c’ero, ero assente, ero al bar a giocare a risiko, a tris, o a solitario, tanto per prepararmi psicologicamente alla mia futura “solitudine dei numeri primi”.

Perché queste sono materie che bisognerebbe insegnare nelle scuole.

La gente dovrebbe essere informata, le malattie non sono sempre visibili, non sempre si curano in fretta, o periscono dopo un periodo di convalescenza. Ci sono mali che ti nascono dentro senza che tu te ne accorga, e quando la gente amica ti osserva sorridere, osserva la ragazza di sempre, forte, quella che niente e nessuno può distruggere, non lo sa che hai un demone dentro, una piccola cellula infetta all’interno del cervello che ti sta lentamente  lacerando.

Resta il sorriso di facciata, un automatismo, che ora rivolgo alla mia amica Minnie; a lei che stringe tra le sue dita quella sigaretta che, come me, si consuma piano, ritmando il tempo della mia vita, e piangendo le mie stesse lacrime di cenere.

“Qualche volta”.  La mia mano del diavolo scrive velocemente, come risposta alla frase “penso che andrà tutto bene”. Il questionario è compilato, firmato, archiviato, non mi resta che aspettare. Un silenzio raggelante rimbomba nella stanza ovattata. In quello stesso silenzio mi ritrovo a pregare che Minnie faccia qualcosa, un cenno, un piccolo segno, per sbloccare il blocco di creta che mi ha imprigionato, trasformandomi in parte integrante della tappezzeria.

Un piccolo sbuffo di fumo, si libera dalla bocca di rosa della mia amica Minnie.

Come la bella statuina dell’orologio di Milano fa tic tac riprendo a respirare, mi stiracchio, come svegliata di soprassalto da un coma farmacologico troppo lungo e doloroso.

Riprendo a sorridere, la sigaretta è finita, il mozzicone riposa a terra, sotto il mio piede che ha voluto spegnere quel fumo che mi riempiva i polmoni, impedendomi di respirare.

Ora si che posso  rispondere “penso che andrà tutto bene”.

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