“Un grande film” dice
il mio fidanzato, cinefilo x professione, ma io, non so perché, ho sempre un
po’ di paura a guardare i suoi grandi film. Molte volte sono mostruosamente
grandi. In un senso positivo ma allo stesso tempo spaventoso del termine.
Tutti noi dipendiamo da qualcosa, che sia una persona, un
essere animato o non, anche da un’abitudine si può dipendere, quando si radica
nelle nostre vite a tal punto da non poterne fare a meno. Ne siamo dipendenti.
Siamo tutti tossici e spesso non ce ne rendiamo conto.
Alcune volte può succedere di diventarlo per la smania di
raggiungere un sogno impossibile, un sogno talmente grande che solo il pensiero
di poterlo sfiorare con un dito ci manda in fibrillazione; ci fa sentire
potenti, grandi, forti. Padroni del mondo.
Pensate a tutto questo portato all’esasperazione. Pensate a
quando sentiamo il profumo della vittoria vicino, come lo sformato che la mamma
sta preparando nella stanza accanto. E’ proprio in quel momento che la vita si
impadronisce di noi, e non ci lascia via di scampo.
Un film che parla di dipendenze “Requiem for a dream”. Vite
di persone apparentemente diversissime tra loro, eppure accomunate da un unico
fattore: la debolezza. La debolezza di reagire, la debolezza che impedisce la
vera svolta; quella che blocca, e non ti rende padrone della tua vita, ti fa
vivere ai margini di essa, incapace di reagire, e di impedire che ti sfugga di
mano, come un coriandolo scolorito di un bambino a carnevale.
La dipendenza ti getta in un vortice di solitudine dal quale
è difficile uscirne, e spesso rende l’essere umano terribilmente insicuro e
fragile. E’ un male che può superare qualsiasi cosa, anche l’amore, perché pure
dal sentimento più nobile del mondo si può dipendere.
Grande film, non c’è che dire, forse pure educativo, sotto
certi aspetti, ma di certo non aspettatevi un lieto fine.
Nella paranoia più surreale che possa esistere al mondo i
protagonisti della pellicola si ritrovano soli, le loro vite distrutte.
Coricati in posizione fetale si abbracciano stretti le ginocchia al petto, alla ricerca di quel
poco di conforto che solo il calore del corpo può dare.
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