lunedì 23 maggio 2016

Un'altra storia di scarpe; un passo incerto, un'andatura nuvolosa

Un 'altra storia di scarpe, un'altra storia di quelle scarpe nuove, bellissime, luccicanti, sensuali; portate a mano da un'ottusa fanciulla, che la dignità, l'aveva pestata insieme ad una cacca di cane, lungo la via del ritorno.

Se ne stavano lì, appese al mio braccio, che dondolava avanti e indietro, e un po' ciondolava, al ritmo di una musica che non c'era più, ma ancora pulsava in quella scatola cranica, che aveva perso la materia grigia in un bicchiere di Ruhm.



Quella sera avevo come l'impressione che il solo sfoggiare quelle scarpette magiche, mi sarebbe bastato. Non importava il maquillage perfetto, l'ombretto bianco sotto il sopracciglio, per innalzarmi lo sguardo, l'eye liner lungo la palpebra.
Nulla importava.
Neanche l'outfit perfetto per la serata.
Niente importava.
La sola cosa che mai avrei dovuto togliermi, erano quelle scarpe.
Una scialuppa di salvataggio, in una serata che, già nei primi cinque minuti, aveva preso la piega sbagliata.

Scarpe ai piedi, gambe in spalla, gonna lunga, drink in mano.
Avevo la terribile sensazione di aver annegato anche quei pochi momenti di lucidità in un cocktail annacquato, condito con ghiaccio e disperazione, una goccia di disinibizione; e quella timidezza, che normalmente t'infiamma le gote, era sparita, pestata, schiacciata, come l'uva di quel vino, che avresti tanto voluto sorseggiare.

Uno sguardo vuoto osservava la scena davanti a sé. Vivevo un film a rallentatore, ero spettatrice passiva di ciò che mi succedeva dinnanzi, una scena magistralmente girata, dove un branco di pecore e caproni davano sfogo ai loro istinti primordiali, trasudando ormoni da ogni poro, nel disperato tentativo di ingroppare la cavalla davanti.
Non importava quanti anni avessi, cosa facessi nella vita, cosa ti portasse in quell'affumicatoio per caprioli.
Bastava che alzassi la gonna, e il gioco era fatto.
Nell'aria si respirava sudore e testosterone.
Fragranze di miele e foglie di acacia, rosa canina e muschio bianco, si fondevano perfettamente con l'essenza odorosa della disperazione umana.
Le mie narici tossichiavano , nell'estrema speranza di respirare, affannosamente, un po' di Ossigeno puro.
Un'unghia rosicchiata, soffocata da chili di smalto trasparente, contro un'onicofagia, che da sempre mi fagocitava la vita, tamburellava nervosamente, picchiettando contro il vetro di quel drink che portavo in mano.
Il secondo, il terzo, chi può saperlo.
Ero troppo impegnata ad annegare le mie capacità cerebrali in un alcool scadente. E ad osservare, come una spettatrice lontana mille galassie da quel luogo, l'estrema consumazione di una serata, che scorreva rosicchiata, mangiucchiata, e perforata, sotto la suola delle mie bellissime scarpe.

Mi avviavo mesta verso la via di casa, quei 102 passi che mi separavano, dal calore del mio nido.

Ero triste, e forse un po' felice, lo sguardo annebbiato da litri di vodka, che mi erano scivolati in gola, senza che me ne accorgessi.
Un passo incerto, un'andatura nuvolosa.
Due piedi nudi, grandi quanto quelli di una bambina di sette anni, saltellavano qua e la, danzando al ritmo di una musica immaginaria; sobbalzando un poco, trascinandosi dietro un paio di scarpe bellissime, che mai avrei dovuto togliere.

Un'altra storia di scarpe, che adornavano il braccio di una bambina troppo cresciuta, che moriva nel desiderio di ricevere un caldo abbraccio, in quei 102 passi infiniti, che la separavano dal calore del suo nido.


[Esiste al mondo chi ancora lo chiama “Il cammino della vergogna”.
A me piace chiamarlo “la disperazione del venerdì sera”.

Non ti accorgi mai, quale piega potrà prendere la tua serata, finchè non ti ritrovi fuori da una discoteca, grande quanto il bagnetto di casa tua, e soffocante quanto questo, sola, inerme, annaffiata da un alcool scadente, che impedisce ai tuoi neuroni anche le più semplici sinapsi. Con in mano le tue scarpette da ballo, nuove di zecca e nere fiammanti, che trasudano sesso da ogni poro. Sfoggiate al braccio destro, come una borsetta di Prada, quella borsetta che non avresti mai voluto avere.
E con un desiderio umano, che ti lacera dentro.]

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