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Mi sento decisamente una blogger fallita.. Ancora non ho capito come funziona sta tecnologia del nuovo millennio, scrivo a ruota libera, ma non sono mai sicura di salvare gli articoli. Bella cosa.
Oggi è una giornata da ricordare. Non ho fatto nulla di particolare in realtà, anzi, era pure il primo giorno di ciclo, quindi sono stata una classica donna mestruata paturniosa, rognosa e soprattutto noiosa, un po' stile piattola. Però la cosa realmente degna di nota è che è un mese esatto oggi che abito questa casa. Sì, un mese fa partii con il mio bolide azzurrino (ooooh, quanto mi manca la mia Yaris), carico di roba. Sì, perché la tradizione in casa mia è che nei traslochi non è mai la persona ad andarsene, a trasferirsi, ma è la casa che si trasferisce con lei, inglobandosi in un'altra nuova ed accogliente casetta. E' un po' una regola del feng shuing rivisitata da me si puo' dire!

Ah, dimenticavo. Qui potrete leggere articoli giornalistici e non.




IMMIGRAZIONE.
TRA GLOBALIZZAZIONE E IGNORANZA
 
 
Le Origini dell’immigrazione; pensieri e sentimenti.
Steve Jobs, Mark Chagall, Albert Einstein, Hannah Arendt.
Che cos’hanno in comune queste quattro personalità, apparentemente distaccate tra di loro, l’una con l’altra?
Ebbene, udite udite, questi quattro nomi appartengono a persone che hanno in qualche modo mutato il corso della civiltà umana, chi in campo letterario, chi artistico, chi scientifico ed informatico; assicurandosi un posto nei libri di storia.
Non è da dimenticare, inoltre, che uno degli uomini che ha maggiormente cambiato il corso del progresso umano negli ultimi dieci anni, era figlio di un siriano, emigrato negli Stati Uniti nel 1954. Forse ne avete sentito parlare, si chiamava Steve Jobs.
Per non parlare della fuga dal nazismo, vissuta sia dal pittore Mark Chagall, sia dalla filosofa Hannah Arendt, che dallo scienziato Albert Einstein, tutti di origine ebrea.
Alla luce di tutto ciò, cos’hanno in comune queste quattro brillanti personalità?
Il fenomeno dell’immigrazione.
Si, avete sentito bene, si parla d’immigrazione. Perché l’immigrazione, come forse ben sappiamo, ma preferiamo ignorare, non è di certo una novità. Agli inizi del 900 viveva in Italia un forte sentimento razzista; gli immigrati venivano spesso definiti scansafatiche, e intralcio per la società nascente. E la stessa cosa accadeva per il risvolto della medaglia, ovvero per l’italiano immigrato in America. Ci siamo forse scordati la celebre canzoncina che cantavano spesso i nostri nonni?
Faceva all’incirca così “Mamma mia dammi 100 lire che in America voglio andar…”
Le comunità di italiani immigrati erano spesso chiuse ed isolate; imparare la lingua ed integrarsi non era affatto una priorità. Il pregiudizio più comune era che l’italiano nascesse da un’indole violenta, che fossero tutti mafiosi, eccessivamente sentimentali, superstiziosi, rozzi ed ignoranti.
Questi fatti sono utili per ricordare che i pregiudizi sono un boomerang: prima o poi colpiscono chi li scaglia. E a scagliarli, ora, siamo in tanti.
Venivamo additati esattamente come i rifugiati di adesso, perché è di questo che voglio parlare; su di noi incombevano gli stessi pregiudizi. Ma si fa presto a dimenticare.
La situazione, ad ora, è terribile, e ancor più terribile è l’impotenza di ciò che non si riesce a fare.
Una valanga carica d’immigrati sta destabilizzando l’intero continente europeo, disseminando ovunque terrore, accompagnato da sentimenti di odio e razzismo, da tempo assopiti nelle nostre memorie.
La domanda generale è: “perché questo problema non si riesce a risolvere?”
Nel tentativo di svelare questo impossibile quesito, ne pongo nell’immediato un altro.
“Ci siamo mai chiesti come affrontiamo noi, in quanto italiani, europei, e cittadini, nati nella parte più fortunata del mondo, il fenomeno dell’immigrazione”?
Ebbene, scoprirete, ponendovi tali domande, che i sentimenti principali, che emergono dalle nostre menti occidentaliste, sono di negazione, rabbia, negoziazione, depressione, e accettazione.
Prevale la rabbia quando pensiamo che i rifugiati siano una minaccia per il nostro stile di vita, tra di loro si nasconderanno sicuramente fondamentalisti islamici, devono essere fermati prima che sia troppo tardi.
Pervade il sentimento di negoziazione, se di sentimento si può parlare, quando pensiamo a stabilire delle quote per dare un sostegno economico a questa povera gente, al fine di realizzare dei campi profughi nel loro paese.
Sopravviene la depressione, quando ci sentiamo perduti, piccoli ed indifesi, schiacciati come formichine su una piastrella, dinnanzi all’enorme mole di rifugiati che sbarca ogni giorno sulle nostre terre. Pensiamo davvero che l’Italia, anzi no, l’Europa, si stia trasformando in MusulmaniLandia?




 
Come risolverlo? Cause e nascita degli stati falliti.
Prima di tutto è importante capire che la maggior parte dei rifugiati proviene da “stati falliti”, la così detta parte sfortunata del mondo. Stati nei quali l’attività pubblica è più o meno inerte. E che questa disintegrazione del potere statale non è un fenomeno locale, bensì la conseguenza di pratiche economiche e politiche internazionali, e in alcuni casi, come in Libia e in Iraq, è conseguenza diretta di interventi fallimentari da parte dell’Occidente. Questo fatto rappresenta forse una novità questa? Credevamo davvero di avere la fedina penale immacolata?
I così detti “Stati falliti” non sono un fatto casuale, ma un modo con il quale le grandi potenze si assicurano il mantenimento del loro alto tenore di vita, ed esercitano il loro colonialismo economico. Oltre a ciò, è importante tenere presente che i semi di tali Stati mediorientali vanno fatti risalire all’arbitrario disegno dei confini dopo la Prima Guerra Mondiale, ad opera di Regno Unito e Francia; in definitiva, unendo sunniti in Siria e in Iraq, l’Isis sta mettendo insieme ciò che le potenze coloniali un tempo divisero.
E’ necessario allargare i propri orizzonti, per capire che i rifugiati altro non sono che il prezzo da pagare per l’economia globale. Abbiamo voluto la bicicletta? E ora pedaliamo!
Abbiamo bramato ad ottenere un mercato libero, un mondo globale, dove i prodotti circolano liberamente, ed ora ci ritroviamo a chiudere le frontiere, a creare dei muri, immaginari e non, di fronte alle persone. E’ qui che nasce la nuova apartheid. I muri permeabili, dove vige il libero scambio delle merci, comportano il rischio di essere invasi dagli stranieri, ciò è intrinseco al capitalismo globale, ed è indice di quanto pericoloso e falso possa essere questo sistema politico.
E’ come se i rifugiati ora volessero espandere la libera circolazione dei prodotti, alle persone.
E’ vero che le immigrazioni sono un fenomeno costante nella storia umana, ma è anche vero che il fenomeno è dovuto per lo più alle espansioni coloniali. Prima della colonizzazione, i Paesi del Terzo Mondo erano composti in maggioranza da comunità locali autosufficienti, e relativamente isolate. E’ stata dunque l’occupazione coloniale a far deragliare il loro tradizionale stile di vita, e a portare la società umana verso le immigrazioni su larga scala.
Sembra anche a voi, che si stia parlando ancora di desiderio di espansione occidentale, o meglio Europeo, come causa di forza maggiore?
Una cosa è certa: l’ondata migratoria in corso in Europa, non è certo un’eccezione.
Il sentimento che sembrerebbe più consono assumere, in questo determinato caso, è dunque quello dell’accettazione.
Accettazione perché è giusto apprendere dalla storia, valutarne le cause, e prepararci, armati di buona volontà, a vivere in modo più flessibile e nomade. Si dovranno inventare nuovi modelli di cooperazione mondiale, perché a questo mondo dobbiamo convivere, e non ammazzarci a vicenda; e l’Europa, non per ultima, dovrà fornire nuovi mezzi per una decorosa sopravvivenza dei rifugiati. E non si parla di compromessi perché, se non si è ancora capito, le migrazioni sono il nostro futuro.
 
Quale sarà il modo giusto? Il pensiero di Slavoj Zizek, e i muri dell’ignoranza.
Arrivati a questo punto termino il mio fiume di parole, e preferisco citare una parte significativa di un articolo di Slavoj Zizek, filosofo e psicanalista sloveno, apparso su “La repubblica” qualche giorno fa.
“In conseguenza di tale impegno l'Europa dovrà necessariamente organizzarsi, e imporre regole e regolamenti chiari. Dovrebbe arrivare a realizzare un controllo governativo del flusso dei rifugiati tramite un vasto network amministrativo che abbracci tutta l'Unione europea (per evitare barbarie locali come quelle delle autorità ungheresi e slovacche). Ai rifugiati occorrerà dare garanzie circa la loro sicurezza, ma si dovrà anche far capire che dovranno accettare il Paese nel quale saranno destinati dalle autorità europee, e che dovranno rispettare le leggi e le usanze degli stati europei”.
Seguendo il ragionamento del filosofo psicanalista si risolverebbe tutto attraverso il metodo più semplice e umano del mondo: il dialogo. Perché non averci pensato prima! E’ un po’ come ricostruire una società ideale, dove tutti vivono insieme rispettandosi reciprocamente, e nulla succede più.
Ma sarà davvero così semplice? E l’uomo, dal canto suo, sarà davvero così stupido?
Un punto importante è bloccare il meccanismo d’immigrazione, arrivando alla radice del problema stesso. Non sarebbe forse necessario mirare ad interventi internazionali, di natura diversa da quella economica, politica, e militare?
Se l’occidentale provasse a focalizzarsi sul piano sociale e umano?
Cambierebbe forse qualcosa? Probabilmente no.
Ma infondo, se la soluzione che appare più fattibile è quella di costruire muri, al fine di bloccare l’ondata migratoria, vuol dire che il sentimento più popolare, che abita sicuramente la mente di molti xenofobi, islamofobi, e omofobi, è l’ignoranza.
Un Ungheria che non si merita di produrre il prossimo I Phone, considerando che caccia come fossero bestie, connazionali del padre della Apple.
E non è la sola. Ovunque, sentiamo parlare di uomini incappucciati che attaccano le barche dei migranti, tentando di non farli approdare nelle preziose coste dell’Unione europea.
La situazione rimane terribile e terrificante perché, oltretutto, non si riesce nemmeno a spiegare.
In conclusione, se l’Unione Europea è nata per abbattere le barriere tra gli stati, allora forse bisognerebbe iniziare ad abbattere i muri che si stanno costruendo tra gli Stati membri.

 
 



SCANDALO ALLA WOLKSWAGEN.
TRUFFA IN PIENA REGOLA


“La Wolkswagen è da sempre sinonimo di stabilità. E’ il fiore all’occhiello dell’ingegneria tedesca

Mi piace l’idea di aprire una questione spinosa, quanto quella che sto per trattare, con questo elogio alla magnificenza tedesca.

Lo scandalo Wolkswagen si sta allargando a macchia d’olio in tutto il mondo, anche nelle ultime ore, invade la superficie terrestre come un’epidemia mortale, e non ammette ripensamenti. Lascia dietro di se nient’altro che morte, distruzione, colpevoli, falsità, e anche un bel po’ di marcio.
Ma andiamo per ordine: in cosa consiste la truffa?




Lo scandalo nasce dalla falsificazione dei test, con cui negli Stati Uniti sono stati misurate le emissioni di anidride carbonica, nei motori Diesel due litri della Wolkswagen. Sui motori in questione era stato montato un software capace di riconoscere la situazione dei test, e imponeva al motore uno scarico di gas tossici inferiore alla norma.

Le discrepanze fra i consumi misurati in laboratorio, e quelli rilevati su strada, sono stati scoperti quasi per caso da Peter Mock, direttore della sezione europea dell’International Council on Clean Transportation, un’organizzazione indipendente no profit, che si occupa di trasporti e ambiente. Nel maggio 2014 l’agenzia federale per la protezione dell’ambiente Epa, apre un’inchiesta sulla multinazionale automobilistica, e dopo varie vicissitudini durate la bellezza di un anno, (durante il quale l’azienda ha tentato il mille per mille di salvarsi la faccia), solo a quel punto il marchio internazionale, che porta il nobile nome di “auto del popolo”, ha ammesso di aver progettato ed installato un dispositivo, che grazie ad un complicato logaritmo, identificava quando il veicolo era sotto esame, e limitava solo in questo caso le emissioni inquinanti.
Da qui l’accusa, più che legittima, di aver truccato i controlli.

22 Milioni di veicoli coinvolti, e sotto accusa anche alcuni modelli storici della Wolkswagen, come la Golf, Jetta, Passat… Il Software è stato inserito in 482000 veicoli venduti in America fra il 2009 e il 2015.
E se non sono i numeri a spaventarvi, non disperate.
Più clamoroso è il dato che riguarda le sanzioni a cui la Wolkswagen potrebbe andare incontro, una volta accertate le proprie responsabilità; si parla addirittura di 18milioni di euro.

E se i danni commerciali si avranno negli States, quelli finanziari si fanno subito sentire in Europa; e insieme alle conseguenze borsistiche ed economiche, dove sempre di numeri si parla, ora l’Europa è determinata a vederci chiaro: il governo tedesco pretende che i vertici della Wolkswagen sgomberino il campo da qualsiasi dubbio, che anche in Germania possano essersi verificate delle falsificazioni dei test. Proprio a tal proposito il ministro delle finanze francese, Michel Sapin, ha chiesto che venga aperta un’inchiesta europea sulla multinazionale in questione, e su tutti gli altri costruttori, al fine di rassicurare i cittadini, automobilisti e non, in quanto respiratori di aria inquinata, che dicevasi sana.

La macchia d’olio si allarga a dismisura, e lo scandalo arriva a coinvolgere non solo la grande Germania, (com’era prevedibile); ma addirittura Miss Angela Merkel, impegnata come sempre in una delle sue campagne ambientali.
Secondo le rivelazioni fatte nella serata di ieri sul sito “Die Welt”, la tecnica di manipolazione dei gas di scarico dei motori Wolkswagen, era nota a Berlino e a Bruxelles da lungo tempo. Un’accusa pesantissima giunge ai nostri padiglioni auricolari.

Al ministero dei trasporti era chiara l’esistenza della tecnica di spegnimento, una rivelazione che rischia di avere un impatto pesantissimo su tutto il sistema_ Germania.
E tutto per colpa di un algoritmo.
Scandalo è un termine riduttivo per delineare il disastro successo, una truffa di tali dimensioni non danneggia solo il Marchio Wolkswagen, ma l’intero stato tedesco.

Uno tsunami, seguito ad un terremoto di magnitudo 7.1, forse si avvicina di più ai danni fin ora registrati.
Ora, a sollevare un velo sulla vergognosa vicenda, trascinata dall’ormai immensa corrente, carica di fango e marciume, saranno niente meno che Miss Angela Merkel e il suo governo. La cancelliera tedesca, infatti, ha fatto proprio della politica green un pilastro fondamentale della propria leadership.

“In questa situazione difficile, serve piena trasparenza”, afferma la donna, “spero che i fatti vengano messi a nudo il più velocemente possibile”. Intanto, fino a 5 giorni fa, ancora si presentava in veste di paladina della salvaguardia ambientale.
La vicenda lascia scoperti molti nervi dolorosi, e mille dubbi pervadono la nostra mente;
“Sarà davvero tutta colpa di un solo ed inutile algoritmo”?

E ancora “riuscirà Angela Merkel a pararsi ancora una volta, il suo prezioso fondoschiena”?
 






INSIDE OUT. DALLA PIXAR,
ARRIVA IL NUOVO FILM D'ANIMAZIONE
CHE VIAGGIA NELLA MENTE UMANA
 
 
L’ultimo film della Pixar, Inside Out, è uscito il 16 settembre in tutti i cinema italiani.
“Inside Out” è l’ultimo film d’animazione del 2015, realizzato dai Pixar animation Studios, e distribuito dalla Walt Disney Pictures. Il 15esimo capolavoro in vent’anni di storia della casa cinematografica: il primo fu proprio “Toy Story” nel 1995.
Il regista del film è Pete Doctor, insieme al co regista Romy del Carmen, noto anche per aver diretto fra gli altri il sopra citato “Toy story”, e “Monster e Co.”.
 La storia ha come protagonista Riley, una bambina di 11 anni, che vive una vita felice, divisa tra amicizie e due genitori adorabili; e cresce accompagnata dalle sue emozioni che, organizzate in un attrezzatissimo quartier generale, la consigliano, la incoraggiano, la contengono, la spazientiscono, la intristiscono, la infastidiscono.
 
Gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto, vivono nella torre di comando della mente della ragazzina, e si occupano di gestire le piccole preoccupazioni quotidiane di Riley.
L’improvviso trasferimento della famiglia, dal Minnesota a San Francisco, le creerà degli scompensi emotivi, che dovrà superare confrontandosi con il primo difficile momento della sua giovane vita, che coincide nell’avvento dell’adolescenza.
“Inside Out” non è solo ben scritto, ma anche divertente, malinconico, e molto acuto.
L’intera vicenda si sviluppa nel cartone animato attraverso un tono mite, che lascia trapelare, sotto un’apparenze dolce e gentile, una certa severità e cinica ironia, senza prendere troppo spazio alla poesia e alla malinconia, che caratterizzano la proiezione.
Il film, di fatto, è quasi interamente popolato da concetti astratti, che agiscono in uno spazio non fisico. Le voci, e la forma delle emozioni, sono sia completamente nuove, sia immediatamente riconoscibili.
Nella rappresentazione troviamo un corpo centrale, in cui risiedono le emozioni primarie, che hanno il compito di analizzare i ricordi della protagonista, e di selezionare quelli più importanti per la sua crescita, e una serie di isole volte a rappresentare le strutture portanti, che racchiudono attitudini, valori e affetti importanti, che definiscono la personalità dell’individuo, e una lunga sequenza di luoghi bizzarri, dove regnano sogno, immaginazione e oblio.
 
L’originalità di “Inside Out” sta nella tecnica narrativa, usata per gran parte del film. Attraverso episodi rocamboleschi e divertenti, l’intera pellicola cinematografica ci trasporta nel mondo più affascinante che possa esistere al mondo: la mente umana. A raccontarlo non sono solo gli avvenimenti, che si susseguono, ma la stessa fragile struttura, su cui è costruita la mente di Riley. Importanti sono le scelte grafiche sapientemente utilizzate dal regista, per rappresentare una struttura tanto complessa quanto oscura, e scarsamente conosciuta, che è appunto il cervello dell’uomo.
Il ruolo essenziale della memoria nella vita di tutti noi, ci appare rappresentato in maniera magistrale attraverso le scelte grafiche; il regista rende tangibili le realtà più astratte, e porta in scena una serie di soluzioni originali, a cui accosta un utilizzo intelligente dei colori, accesi e dai forti contrasti nella mente, stinti nel mondo reale.
Giunti a questo punto, è doveroso rispondere ad una domanda che sorge istintiva e spontanea: “Inside Out” è un film d’animazione dedicato esclusivamente ad un pubblico infantile?
Assolutamente no.
“L’equilibrio che ci tutela dall’apatia e dalla depressione è frutto di un lungo cammino, e si raggiunge solo con il tempo, dopo aver accettato il fatto che la vita ci riservi anche esperienze dolorose e disagianti”.
Questo sembra voler trasmettere il regista Pete Doctor ad un pubblico adulto.
L’esempio di Riley ci invita a riflettere sull’importanza che assume l’emozione della tristezza nella vita quotidiana, e di quanto questa sia fondamentale, e non marginale, al fine di creare dei ricordi positivi, e soprattutto funzionali per la nostra crescita interiore. Solo attraverso la tristezza, un momento di sconforto, e il pianto, riusciamo a cogliere quanto di più bello ci offre la vita. Dunque lunga vita alla preziosa collaborazione tra Joy, la fatina brillante, luminosa ed evanescente sempre allegra e danzante, e Sadness, la donnina in blu, sempre fiacca ed insicura.
E che dire di “Lava”, il cortometraggio che precede, e accompagna il film d’animazione “Inside Out”?
E’ la storia di un amore impossibile tra due vulcani, Uku e Lele. Una storia sicuramente triste, dalla quale traspaiono emozioni delicate, attraverso sonorità hawaiane ed un arrangiamento misurato e semplice. Lava introduce e racconta la sofferta storia d'amore, con delle pennellate cinematografiche che descrivono il mondo di Uku e Lele con delicatezza e grazia. Il cielo, il mare, uccelli, pesci ed altri animali, nuvole e ovviamente la calda lava che arde all'interno di Uku.
 
Voi vi ricordate cosa sognavate quando eravate bambini? E le vostre paure, che hanno accompagnato la vostra intera infanzia, i vostri incubi? Beh, forse è arrivato il momento di tornare indietro nel tempo, guardare lo schermo, e riconoscere, in quella bambina undicenne dai capelli biondi, un po’ di noi stessi.
 


 


MILANO 2015: UNA PIOGGIA DI POESIE
 
Milano bombardata da centomila poesie. Questo è il nuovo evento che porterà fuori tema l’Esposizione universale, colorandola di una piacevole tinta poetica.
Centomila poesie di autori italiani e cileni scenderanno dal cielo su Piazza Duomo, sabato 26 settembre. Un elicottero lancerà sulla città di Milano migliaia di versi di oltre 75 autori. La performance inizierà al tramonto, verso le 19,30, e coinvolgerà tutta la popolazione milanese, dai cittadini ai turisti.
Una pioggia di poesie, versi letterari delicati cadranno dal cielo, e finiranno nelle mani di tutti coloro che assisteranno all'evento.
I bombardamenti di poesie costituiscono l’iniziativa culturale più conosciuta, realizzata grazie alla collaborazione de “La casa della Poesia” di Milano, e al collettivo artistico cileno “Casagrande”.
 
Si tratta di una manifestazione mondiale, "Pioggia di poesie", giunta alla sua settima tappa, e che coinvolge nel mondo tutte le città che hanno subito bombardamenti aerei nel passato. Eventi tragici, che hanno assunto, con il passare del tempo, una dimensione talmente vasta, da passare alla storia come segno della capacità distruttiva dell'uomo. Dopo Londra, Berlino, Varsavia, Guernica, Dubrovnik e Santiago, quest'anno tocca alla città che ospita l'Expo, pesantemente ferita dai bombardamenti aerei durante la Seconda Guerra Mondiale, tanto da conservare, nel suo ventre, alcune delle macerie, trasformate in due collinette ben visibili al Monte Stella e al parco Lambro.
Sono trascorsi quasi 70 anni, ma il ricordo e le sofferenze sono ancora vivide, e ricordate periodicamente nel nostro capoluogo lombardo.
Il 10 giugno 1940 gli altoparlanti di Piazza Duomo diffusero il discorso di Mussolini che, da Piazza Venezia, chiamava gli italiani alle armi. Milano apprese, insieme al resto del Paese, di essere entrata in guerra contro Francia e Gran Bretagna.
A pochi giorni dall’ingresso in guerra, Milano riceve il battesimo del fuoco e i bombardieri inglesi offrono un primo funesto saggio del proprio potenziale distruttivo.

La città di Milano fu uno dei principali obiettivi degli Alleati nel corso dell’offensiva aerea sull’Italia durante la Seconda guerra mondiale.
E’ proprio questo l’evento che l’iniziativa propone di commemorare, attraverso un bombardamento non violento, ma letterario, pacifico e piacevole; al fine di infondere nel cuore dei milanesi briciole di speranza e di coraggio. Bombardare la città di Milano con lo spirito di rinascita che contraddistinse i milanesi nell’immediato dopoguerra.
La selezione dei poeti italiani, curata da Amos Mattio della "Casa della Poesia" di Milano, è così composta: Alessandro Anil, Pietro Berra, Marco Bini, Domenico Brancale, Carlo Carabba, Andrea De Alberti, Alessandro De Santis, Veronica Fallini, Gaia Formenti, Mario Fresa, Marco Giovenale, Valerio Grutt, Federico Italiano, Simonetta Longo, Andrea Marchesi, Fosca Massucco, Gianpaolo Mastropasqua, Amos Mattio, Amos Mattio, Giorgio Mobili, Alessandro Pancotti, Michele Pasquariello, Alberto Pellegatta, Marco Pelliccioli, Rossano Pestarino, Stefano Pini, Andrea Ponso, Vito Russo, Flavio Santi, Carla Saracino, Damiano Scaramella, Francesca serragnoli, Annalisa Teodorani, Giovanni Turra.
Nello stesso luogo, ne “La casa della Poesia”, allo spazio Formentini, è previsto per giovedì 24 settembre un appuntamento preliminare, dove verranno letti alcuni testi, che durante la “pioggia di poesie”, verranno lanciati come bombe sulle nostre teste.
L’evento è stato organizzato con il sostegno del padiglione cileno di Expo, della fondacion Imagen de Chile, e del comune di Milano.
Per il Commissario generale del Cile all’Expo di Milano 2015, Lorenzo Constans, questa iniziativa rappresenta un incontro di pace, amicizia e cultura tra il Cile e l’Italia. Anche perché “El Amor de Chile”,(così si chiama il Padiglione) ,riflette la tradizione storica e poetica del nostro Paese.
In conclusione, non ci resta che recarci a Piazza del Duomo, la sera di sabato, per assaporare una ventata di novità e freschezza, e magari per innamorarci di qualche bella poesia, piovuta dal cielo.
 
 
 


 
SORPRESA AL TRIBUNALE DI MILANO:
LA TRUFFA SENTIMENTALE NON E' UN REATO
 





Succede a Milano.

Si parla d’amore, sbocciato tra un uomo e una donna, e di un interesse, non del tutto indifferente, per un conto in banca, con un imprecisato numero di zeri.

Si parla di una donna che, dopo aver prestato 16mila euro al suo compagno, il quale le aveva promesso di costruire una famiglia insieme, ed eventualmente anche restituire l’ingente somma di denaro; è stata scaricata, vedendosi restituiti soltanto 280 euro.

Ma partiamo con ordine.

L’amore sboccia a Milano, nel lontano 2009, tra le corsie dell’ospedale di San Raffaele: due infermieri, duro lavoro, turni notturni, due cuori palpitanti, un conto corrente.
 

L’amore vero al giorno d’oggi è in crisi tanto quanto l’economia italiana. Si sa.
Fin dal principio, lui inizia a bussare ai quattrini; lei abbocca, generosa, innamorata, ingenua, possiamo definirla come meglio vogliamo. Ma la verità è che in amore non c’è portafoglio che tenga.
1500 euro per le tasse sono ancora comprensibili, un momento di crisi, gente che non arriva a fine mese, lui sta nei guai, un affare temporaneo; arriveranno tempi migliori, e l’amore è così grande… Magari si ripaga sotto le lenzuola, in quello che sarà il futuro nido coniugale.
Ma esistono persone al mondo, che una volta datagli una mano per superare una crisi passeggera, si prendono il braccio. E pare sia il caso nostro.
10 mila euro per aprire un fantomatico business in Perù; perché si sa, al giorno d’oggi bisogna fuggire, nell’Italia di Renzi non si combina più nulla.
E non è finita qui. Ora ci vogliono i soldi per il viaggio in Sud America, e anche qualche “centesimo” in più per vivere, in attesa del grande colpo.
Alla fine 16 mila euro sono felicemente volati dal conto bancario della donna, a quello dell’amante.
Un triangolo amoroso piuttosto infelice, che vede protagonisti lui, lei e il portafoglio di lei, non poteva di certo durare a lungo; e come spesso accade, troppi quattrini di mezzo accendono gli animi, i dubbi, i diverbi, e spengono la passione.
L’amore finisce, la coppia scoppia, lui si fa una nuova vita, e una nuova lei.
Alla malcapitata collega di lavoro, altro non resta che aprire gli occhi, armarsi di carica, coraggio, e quella punta di orgoglio femminile, che fino ad ora era rimasta seppellita sotto un mucchio di verdoni.
Se non può avere indietro l’amore, almeno che riabbia i soldi!
Ed eccoci qua, dinnanzi alla dura realtà.
L’infermiera sfortunata si rivolge all’avvocato, parte la denuncia alla procura, il collega fedifrago viene indagato per truffa, e spedito al processo con rito immediato. L’uomo, stando all’imputazione, viene accusato per aver “indotto in errore” la donna, sfruttando il sentimento affettivo.
Ed è qua che arriva la sorpresa dal tribunale.
“Il semplice mentire sui propri sentimenti, ossia la nuda menzogna, non rappresenta una condanna tipica di truffa”. Sono le parole del giudice di Milano a sdoganare uno dei comportamenti più vergognosi, ma anche più antichi e tipici dei nostri tempi.
 

“La truffa sentimentale è astrattamente concepibile, ma in concreto difficilmente ravvisabile”, spiega il giudice Ilio Mannucci, “nel caso in esame difettano tanto una condotta fraudolenta tipica, quanto un dolo di truffa. Non c’è inganno allorchè il raggiro non sia stato tessuto in modo artificioso attraverso un’alterazione della realtà esterna, o con una menzogna corredata a ragionamenti idonei a farla scambiare per realtà”.
L’amore si sa, viene e va, e in questo caso il “vissero felici e contenti” lo riserviamo ai romanzi rosa, e a chi ancora si può permettere di vivere tra le nuvole. La cruda realtà sbatte un calcio in faccia all’infermiera malcapitata, e uno schiaffo morale alla dignità femminile, che ancora crede nell’amore vero.
In conclusione ingannate il partner, promettendo eterno amore; impegnatevi in infinite coccole, dolci risvegli, passione e sentimento eterni, sostegno, finchè morte non ci separi, e fiori, cioccolatini a san valentino e letterine. Fatelo italiani, e poi, sgonfiate il portafoglio alla dolce metà.

Tutto è lecito, in guerra e in amore.
Dissipate, coppie d’amanti, dissipate, imbrogliate e frodate; ne risponderete soltanto dinnanzi alla vostra coscienza, non di certo in tribunale!

All’infermiera dell’ospedale San Raffaele di Milano, altro non resta se non fare causa alla Disney, la grande multinazionale che ha contribuito ad illudere tante altre donne come lei, dell’esistenza di questo fantomatico “vissero tutti felici e contenti”.
Ma anche in questo caso, alla luce dei fatti narrati poc’anzi, non sarebbe concretamente dimostrabile.
Insomma, possiamo concludere questa drammatica vicenda, accendendo un piccolo lume nelle nostre immacolate coscienze, nella speranza che la frode sentimentale non diventi la nuova vincita al lotto degli italiani. O forse è troppo tardi?




NESSUNO SI SALVA DIETRO L'ISIS




E’ straordinario come nessuno si soffermi davvero a chiedersi perché tanti giovani, che vivono in Europa, Canada, Australia, Cina, vadano ad arruolarsi per combattere in Siria e in Iraq con il cosiddetto StatoIslamico (Isis).

I dati sono sempre scivolosi, contraddittori, poco certi, ma a mio avviso decisamente preoccupanti.

Perché dovremmo avere paura?

Più che spaventarsi dell’incombente minaccia militare, ciò che lascia basiti è più che altro l’interpretazione corrente che ne attribuisce la gente comune. Chi sono questi volontari che vanno a combattere a fianco dell’Isis? Fanatici, emarginati, pazzi.

Che strano, la follia è una scusa che riscontriamo in diversi episodi, come spiegazione storica dai tempi di Caligola fino ad Hitler, a Saddam Hussein, e via dicendo, tutta la compagnia di leader/dittatori abbattuti o ancora da abbattere.

E’ davvero questa la soluzione?

A me sembra una spiegazione che non delinea proprio nulla, e che anzi, non fa altro che indicare che siamo incapaci di fornire una reale soluzione al fenomeno.

Bisogna maneggiare con estrema cautela le “eterodefinizioni”, così che nessuno definisca se stesso terrorista, né populista. Una vecchia massima enuncia che il terrorista degli uni altro non è che il martire irredentista degli altri. “Terrorista” è sempre una definizione che il nemico attribuisce all’avversario, il vincitore del vinto.

Alla luce di tutto ciò, sarà davvero necessario scappare in terre lontane, per scovare un terrorista, o un presunto tale?

Penso che il fenomeno andrebbe ponderato con molta attenzione, analizzando almeno i caratteri fondamentali di tale guerra del terrore.

Prima di tutto è doveroso sottolineare  che la retribuzione non può essere considerata uno dei moventi principali, che spinge un numero sempre maggiore di giovani europei ad arruolarsi nelle milizie islamiche. Un secondo dettaglio importante, è da individuare nel livello di istruzione, e il patrimonio culturale dei soggetti in questione, che risulta nettamente superiore alle aspettative. Tutto questo non serve ad altro che ad indebolire le tesi che spiegano la partecipazione della militanza con una carenza, un’instabilità mentale, e una scarsa educazione.

Ancora stiamo a fossilizzarci su emarginazione, follia, povertà?

“Un uomo che, facendosi cosmopolita adotta l’umanità come patria, e va ad offrire la spada e il sangue ad ogni popolo che lotta contro la tirannia, è più di un soldato, è un eroe”.

Molti fatti, avvenimenti, fenomeni storici, possono apparirci improvvisamente limpidi e chiari, se solo si squarcia la coltre nuvolosa dell’indifferenza e della superficialità.

Ci troviamo dinnanzi ad un nuovo irredentismo religioso, che poco ha a che fare con pazzia, povertà, insanità, fanatismo.

E il fatto che all’Isis tanto insani non sono, lo dimostra la notizia che, con sole due decapitazioni pubbliche, un gruppo di scalzani è riuscito a farsi riconoscere come il nemico principale della maggiore superpotenza mondiale.

Si può dire che, la nostra civiltà ha raggiunto un bivio: non intervenire sarebbe un segno di capitolazione della democrazia. Intervenire rischia di aumentare il pericolo di un’imminente guerra mondiale, che è tanto convenzionale quanto spalmata ovunque.

Ma chi è il vero nemico di questa guerra? Qual è il vero demone da combattere?

Sono quei martiri militari, che trovano uno senso alla loro vita combattendo per un ideale religioso?

Sono loro, che lasciano le loro terre, i loro beni, la loro vita, per andare a consegnare la loro anima alla morte, in questa spropositata macchina da guerra?

Davvero stiamo di nuovo additando un carnefice, e piangendo una vittima?

Possibile che non ci entri in testa, che siamo tutte vittime dello stesso gioco di potere?

Una società basata sul consumismo, che ci ha allontanato  dai veri valori, dalla bellezza delle piccole cose; una società che ha plagiato la mente umana, privandola dei giusti ideali, portandola alla solitudine e all’isolamento.

L’intelligenza umana è tanto fantastica quanto pericolosa.

L’essere umano è nato per vivere all’interno di un branco, la solitudine genera autodistruzione.

La storia si ripete, incessantemente e continuamente, scandendo i secoli con i suono di un pendolo.

Un pendolo che oscilla tra la salvezza e la morte, perché oltrepassare la linea di confine è davvero troppo semplice.

La perdita di valori, da sempre, genera caos e confusione.

La realizzazione e la felicità, sono un traguardo sempre più impossibile da raggiungere nella società odierna.

Troppo spesso accade che, in balia della nostra smisurata fretta di raggiungere la vetta, ci scordiamo di goderci il percorso, ed inciampiamo in qualche ostacolo, perdendo la nostra reale identità.

Tutto questo per dire che, la causa di tutta questa violenza inaudita, non possiamo far altro che cercarla in noi stessi. Siamo noi gli artefici del nostro male, siamo noi ad aver incoraggiato il progresso, lo sviluppo esponenziale della tecnologia, che altro non ha fatto  se non contribuire a staccarci lentamente dal calore umano. L’essere umano ha deviato gradualmente il suo interesse verso l’oggetto, allontanando i sentimenti, le percezioni, i sensi, i bisogni fisici di se stesso.

Il rancore, la rabbia, l’odio, appartengono ad una sfera del nostro cervello, che troppo spesso non riusciamo a controllare.

Perché in fondo siamo solo esseri umani, e a me piace ricordare, che nessuno si salva da solo.





LIBERIAMOCI DALL'EGOISMO



Expo Milano 2015 sarà una vera e propria piattaforma di confronto, di idee e soluzioni condivise, sul tema dell’alimentazione. Stimolerà la creatività dei Paesi, e promuoverà le innovazioni per un futuro sostenibile. Ma non solo, Expo Milano 2015 offrirà a tutti la possibilità di conoscere ed assaggiare i migliori piatti del mondo, e scoprire le eccellenze della tradizione agroalimentare e gastronomica di ogni Paese.
Molti sono i numeri che già si contano in relazione a tale esposizione: a partire dalle date, dal 1 maggio al 31 ottobre, all’ 1,1 milioni di metri quadri dell’area espositiva, ai 140 Paesi partecipanti, ai 20 milioni di visitatori attesi, fino ad arrivare ai 24000 circa, cifra che conta le persone che muoiono di fame ogni giorno.
Un tasso in continuo aumento, al quale i media dedicano ancora troppa poca importanza, è quello dei disturbi alimentari, nonché la presenza pervasiva, soprattutto tra adolescenti, di fattori specifici che possono considerarsi predisponenti allo sviluppo di tali disturbi.
Basti sapere che nei Paesi industrializzati, come l’Italia, 8/10 ragazze su 100, appartenenti ad una fascia di età che varia tra i 12 e 25 anni, soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Solo nel nostro Paese si contano tre milioni di persone, e nel 90% dei casi si tratta di donne.
Ma tali dati ancora non sono sufficienti, per colmare la gigantesca disinformazione del mondo, riguardo a una malattia della mente, per la quale negli ultimi 20 anni si è assistito ad un enorme aumento dei casi. Ancora non basta a rendere visibile all’occhio umano un problema apparentemente invisibile, che vive e si nutre nell’indifferenza degli altri; un disturbo che non è solo un capriccio, ma un vero e proprio male di vivere.
Definiti molto spesso come disturbi che colpiscono un individuo di sesso femminile, appartenente alla fascia di età caratterizzata dallo sviluppo fisico e psichico, l’anoressia e la bulimia sono considerate manifestazioni della difficoltà di raggiungere l’autonomia, in una società che impone alle donne richieste sempre più pressanti, di adesione a precisi canoni estetici, e a standard di
molto elevati.
Quanti di noi possono affermare con sincerità, di non aver mai subito il peso di tale pressione?
Anoressia e Bulimia sono due dei mille volti della malattia, che deriva della società consumistica del nostro tempo, ma sono prima di tutto due modalità di identificazione. Non sono soltanto sintomi, ma sostantivi che il soggetto si attribuisce, come mezzo per ritrovare il senso della propria identità, messa in crisi, e allo stesso tempo perentoriamente richiesta da questa stessa società, che sollecita al consumismo.
La malattia deriva dall’allontanamento progressivo dell’individuo nei confronti del contatto umano, spingendo disperatamente la persona a trasferire il suo desiderio verso un oggetto.
Le droghe, il cibo, il sesso, il gioco d’azzardo, o anche la dipendenza da internet o dai telefonini, hanno come scopo principale il cambiamento della percezione di sé e dell’ambiente circostante, modificano lo stato di coscienza, trasformano il disagio umano e modulano la grande sofferenza interiore.
Ma non è finita qua. Se è vero che i disturbi dell’alimentazione sono caratterizzati da evidenti alterazioni del comportamento alimentare, è altrettanto vero che contengono al loro interno mille volti, mille sfaccettature diverse, tante facce della stessa medaglia.
La malattia è un circolo virtuoso, un pericoloso giro della morte, che trova la propria forza, e il proprio nutrimento nell’indifferenza e nell’incomprensione della gente; può colpire chiunque, non fa distinzioni classiste, né di età, né di sesso. Spesso le persone affette presentano tratti borderline e depressivi; ma non solo, le cause scatenanti sono infinite, e molte volte difficili da paragonare.
Può succedere di ritrovarsi all’interno di questo vortice della morte, costretti a fare i conti con se stessi, e a vivere questo calvario imposto dalla malattia, a causa del “peso” di quella facciata che la società impone, la pressione esercitata da “una maschera” di noi stessi, che a lungo andare può far perdere il contatto diretto con il nostro vero io.
Quel che è peggio, è che ancora troppo spesso questo male profondo, vive una vita intera avvolto da una coltre di vergogna, troppo spesso viene seppellito nella zona più nascosta e profonda del nostro essere, troppo spesso, ancora, viene ignorato.
In conclusione, appare quasi doveroso “istruire” la coscienza umana, alla vigilia della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla del 15 Marzo, affinchè la lotta ai disturbi del comportamento alimentare non venga dimenticata, ma porti all’interno di sé la memoria della sofferenza e del malessere portato da tale malattia.
In questi giorni di quaresima, e nell’ormai poco tempo che ci separa dall’Expo Milano 2015, dovremmo impegnarci tutti in un digiuno di egoismo. Solo liberandoci dell’egoismo, che vive in ognuno di noi, riusciremmo a distruggere definitivamente quella barriera d’indifferenza e incomprensione, che ancora ci separa dal comprendere tale malattia, che non può e non deve continuare a vivere nell'ignoranza.



BRESCIA: VERITA' DOPO 15 ANNI. FALSE ACCUSE DI ABUSI SESSUALI SUI FIGLI

Per info vedi: http://www.milanofree.it/201509166500/milano/cronaca/brescia_verita_dopo_15_anni._false_le_accuse_di_abusi_sessuali_sui_figli.html

“Nessuno ci ha mai chiesto di raccontare la nostra verità”.
A distanza di 15 lunghi anni i due ragazzi bresciani sono pronti a ribaltare completamente la fantomatica verità dei fatti, emersa nel primo atto del processo.
Si parla di un padre di famiglia, Ferdinando, accusato di abusi sessuali sui suoi due figli, Gabriele e Michele, all’epoca rispettivamente di 9 e 12 anni, a 16 anni di reclusione nel carcere di massima sicurezza di Sassari.
La storia si consumò 15 anni fa, tra la Sardegna, terra di origine della famiglia, e Brescia, dove padre, madre e figli si erano trasferiti in seguito, e dove sono scattate le prime denunce a carico del papà. Si tratta di fatti, “malintesi”, se così si vogliono definire, avvenuti nell’ambito di una burrascosa separazione coniugale, e in particolare segnati da un’accesa conflittualità tra i due genitori, e un’aspra battaglia per l’affidamento dei figli.
“Nostra madre voleva la separazione, e ci spinse a mentire”; questo uno delle preziosi passaggi di un memoriale in cui il fratello maggiore, Gabriele, ora 24enne, confessa che gli abusi denunciati da lui e il fratellino nei confronti del padre, altro non erano che pure menzogne. Il diario fu consegnato agli educatori di una comunità del bresciano, dove il giovane ha vissuto fino alla maggiore età; ma nessuno rivelò la verità.
Una storia certamente drammatica, una verità che viene a galla dopo 15 anni di menzogne, portando alla luce un pesante carico di risentimento, vigliaccheria, violenza psicologica, ingiustizia, impotenza ed omissione.
Già a processo concluso, tre lustri di anni fa, era emerso, attraverso perizie mediche, che non si poteva stabilire con certezza se ci fosse stato o meno un abuso. I bambini, inoltre, dichiarano di essere stati imbottiti di bugie, falsità, vigliaccherie, dalla parte materna; un fiume di menzogne, dunque, accuse pesanti, quanto mai fantasiose. Raccontarono di essere stati costretti, insieme ad altri bambini, a partecipare ad una processione per le vie del paese, completamente nudi, e di essere stati filmati durante abusi sessuali. Anche tali aneddoti, come molti altri, risultano essere, a distanza di 15 anni, parole al vento.
“Quello che io e mio fratello avevamo detto su mio padre, erano pure invenzioni di mia madre, che lo voleva allontanare da noi”.
I giudici del tribunale scrivono di una separazione coniugale segnata da un’aspra conflittualità, come spesso accade in famiglia, tra due genitori.
Una storia già sentita milione di volte, il solito fatto di cronaca, vittime e carnefici, ingiustizie e plagio su minori. Ma non per questo va ignorato.
Sei anni fa, era in corso il processo di appello del genitore; ma nessun educatore portò all’attenzione il diario di Gabriele, consegnato nel lontano 2009 alla comunità. Ora tale oggetto è stato allegato alla richiesta di revisione del processo.
Quel che è peggio, inoltre, è che i nodi, anche dopo 15 infiniti anni, vengono sempre al pettine, più spaventosi che mai.
I problemi famigliari, secondo i fatti emersi, iniziarono nel lontano 1998, quando moglie e marito decisero di separarsi. In seguito al trasferimento nella città lombarda, iniziò il calvario per l’affidamento famigliare, che vide protagonisti non solo la mamma e il papà, ma in primo piano subirono impotenti, il peso di questa violenza psicologica, i due bambini. Michele e Gabriele, vennero di fatti trascinati dinnanzi al tribunale dei minori della città, con a carico non altrimenti specificati disturbi della personalità, che secondo la voce materna, gravavano sui due figli, a causa di terribili abusi paterni.
L’immagine che emerge dai fatti qui trattati, è quella di una faida famigliare.
Se torniamo con la mente ai tempi Shakespeariani, intorno alla seconda metà del 1500, veniva messa in scena la celebre tragedia di “Romeo e Giulietta”, il dramma che, per eccellenza, inscena l’amore e la morte, come protagoniste di una sanguinosa faida famigliare. Le tragedie, le storie, le favole classiche, si sa, rappresentato da sempre lo specchio della realtà, e se questo fatto non può essere confutato, è altrettanto vero che nella separazione è stata coinvolta l’intera famiglia, senza esclusioni, esattamente come succedeva nella celeberrima tragedia teatrale. Non bisogna dimenticare, infatti, che inizialmente erano stati accusati insieme al padre, anche altri parenti paterni, successivamente assolti.
Una storia già sentita milione di volte, il solito fatto di cronaca, vittime e carnefici, ingiustizie e plagio su minori. Ma non per questo va ignorato, anzi l’ignoranza su questi fatti va condannata tanto quanto il fatto stesso.
Il padre ha di certo bisogno di riscatto; i figli non hanno di certo trascorso un’infanzia felice, né tantomeno una tranquilla adolescenza in comunità, segnata da un grande peso sulla coscienza. La magistratura italiana non ha svolto un lavoro esemplare, alla luce dei fatti; ma la madre, nonché ex moglie del papà Ferdinando, che fine avrà fatto?
In conclusione, si può parlare di “maschicidio”, violenza psicologica, vigliaccheria, tradimento.
Il fatto di cronaca può essere etichettato attraverso numerosi titoli possibili, ma la sofferenza, e la vergogna che si cela dietro, è sempre la stessa.


ABUSIVITA' A MILANO

L’Expo è alle porte. L’evento più atteso dell’anno che l’Italia ospiterà dal primo maggio al 31 ottobre 2015 sarà l’avvenimento più importante mai realizzato fino ad ora sull’alimentazione e la nutrizione, che trasformerà Milano in una vetrina mondiale.
Ma se l’Expo consegnerà a Milano fama e popolarità, c’è un’altra faccia della medaglia, un lato della città che si nasconde dai riflettori è alle prese con un’ondata di occupazioni abusive, che pare inarrestabile.
Una polveriera dalle dimensioni paradossali è definita ad oggi una situazione critica, ed è stata al centro della riunione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, convocato in Prefettura, tra comune (che gestisce 29mila abitazioni), regione, Aler (che possiede 40 mila case), i vertici delle forze dell’ordine e il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati. Il piano d’azione è partito lo scorso Novembre, e mira maggiormente alla prevenzione  piuttosto che alla repressione; in programma vi è un’intensificazione della vigilanza nei quartieri a rischio, fatto da evidenziare in una Milano che, dall’altra parte, si prepara per l’Expo 2015, che porterà i riflettori di tutto il mondo ai piedi della Madonnina.
In ogni zona popolare di Milano vi è poi da considerare la questione degli sgomberi, che di certo aumenteranno, e sono un fattore da non sottovalutare ma da gestire non solo sul piano dell’ordine pubblico ma anche su quello sociale. In ogni quartiere, inoltre, sono attivi da tempo gruppi che, legati a centri sociali o nati spontaneamente, oltre a proporre iniziative per la qualificazione del quartiere, danno aiuto alle famiglie senza casa e si oppongono agli sgomberi. La loro presenza si fa sentire soprattutto durante gli sfollamenti degli alloggi di proprietà Aler o del comune.
“Noi difendiamo chi occupa per necessità perché da anni aspetta un alloggio, non difendiamo l’illegalità”, racconta un ragazzo del comitato San Siro; ma appare piuttosto chiaro, alla luce dei fatti, quanto la linea che segna il confine tra giustizia ed illegalità, sia diventata pericolosamente sottile.
Accanto a loro, in aggiunta, iniziano a prendere vita anche comitati di inquilini che si mobilitano contro le occupazioni abusive.
Nel mese di Aprile del 2014 veniva trovata morta a pochi metri dall’ingresso della sua abitazione, Anna di Vito, una signora ottantenne, residente in Via dei Giaggioli nella periferia milanese; dove le strade hanno i nomi dei fiori, ma attraversano i quartieri più disastrati del capoluogo lombardo. Qui regnano palazzine popolari, intonaci scrostati, occupazioni abusive, gruppi di rom che hanno lasciato gli accampamenti per occupare due interi caseggiati. L’interno della casa di Anna di Vito era un’oasi protetta e pulita in quell’altra faccia di Milano, un pezzo di città alla deriva.
Qualche giorno fa, negli uffici della squadra mobile della città, arriva la segnalazione che i poliziotti aspettavano da mesi: Constantin Ionut Liusnea, un ragazzo romeno di 22 anni è stato arrestato, colpevole dell’omicidio dell’anziana signora, e sta finalmente pagando per i mali commessi.
Inizialmente non si pensava neanche si trattasse di omicidio, dal momento che in quel pezzo di città accadono spesso fatti analoghi. “Qui ci sono anche gli sciacalli, piccoli balordi che gravitano in zona, e quando raccolgono la voce che un anziano è deceduto, vanno a fare razzia nella sua casa. I Rom controllano tutto, dal racket allo spaccio”.
Tutto questo va in scena in una Milano dove 23 mila famiglie sono iscritte alla graduatoria per avere una casa popolare, e otto mila appartamenti di proprietà del Comune e Aler sono sfitti.
Una città cadente, teatro di una guerra infinita tra i poveri, è l’altra faccia di Milano, capitale della moda, della cultura e del design, e tra meno di cento giorni anche di Expo, l’evento più atteso dell’anno.


LA BANALITA' DEL MALE


L’amore è quanto c’è di più prossimo alla psicosi”.
Così diceva Gustav Jung in una delle sue lettere dedicate al maestro Sigmund Freud.
Condividere il pensiero del filosofo resta una cosa piuttosto elementare ai nostri occhi, alla luce dei fatti di cronaca dai quali siamo bombardati ogni giorno da tutti i notiziari. Fatti che vedono come protagonista una coppia d’innamorati, l’amore al centro di tutto, appunto.
L’amore acido, l’unione letale di una fragile sciroccata (così l’hanno definita), e un mantenuto sadico, è solo uno dei tanti esempi della “follie a deux”, se così vogliamo definirla.
Sto parlando di Alexander Boettcher e della studentessa bocconiana Martina Levato, sui quali pesa un’accusa di lesione gravissima ai danni di Pietro Barbini, il quale rischia di perdere un occhio, e presenta una deturpazione drammatica al viso; in seguito ad una colata di acido, gettatagli in volto dalla ragazza, ex fidanzatina del liceo.
L’aggressione sarebbe stato l’ultimo stadio di una relazione alla deriva, ossessiva, morbosa, una vendetta nei confronti dell’intruso, dimostrazione di una totale devozione da parte di Martina verso il compagno.
Le parole sottomissione, devozione, lealtà assoluta, sembrano comparire spesso, dunque, se si cerca di delineare un profilo psicologico della ragazza, ma non vi è certezza in queste affermazioni, solo leciti dubbi e questioni irrisolte, domande senza risposta insomma, in quanto solo di fronte ad una perizia psichiatrica sarà possibile avere in mano delle verità. Non vi sono dubbi nel descrivere invece Alexander Boettcher: l’ossessione, i deliri d’onnipotenza, un narcisismo portato all’estremo non possono che delineare il carattere dell’uomo che, colto con le mani nella marmellata, non tenta neanche di nascondere i suoi lati oscuri.
La relazione con numerose ragazze, che diventa ossessione di possesso, è uno di questi, il bisturi trovato nella sua abitazione, insieme a dei coltelli da combattimento, un altro.
“Alcune ragazze mi chiedono di incidere le mie iniziali sul loro corpo. E’ forse un reato?”; certo che no, caro Boettcher, ma fortunatamente ancora non è una pratica di uso comune. Ma se vuole anche giocare a fare il tatuatore, chi siamo noi per impedirlo?
Non scordiamo che dall’altra parte c’è ancora Martina Levato, la studentessa bocconiana, che alla luce dei fatti appena descritti appare proprio una ragazza con gravi fragilità emotive, che ha incontrato una sera in discoteca la persona sbagliata.
Il sentiero sottile ed affilato come una lama sul quale lei ha iniziato a muovere i primi passi incerti, era dominato da un’ansia perseverante, che la seguiva costantemente insieme al desiderio di compiacere il suo Alexander The King, come si presentava su facebook. Frammenti di storia di un piccolo re narciso, che necessita d’incontrare nemici nella sua via, per poter alimentare il suo gigantesco ego, e che ha bisogno di vivere le relazioni sentimentali come una competizione, di affermarsi attraverso l’esibizionismo. Come mostrano le foto che pubblica sui social, il suo fisico muscoloso che sfoggia orgoglioso, le due ferite tatuate su entrambe le spalle, che di certo contribuiscono a renderlo ancora più macho.
La storia di un uomo piccolo, come ne esistono tanti al mondo, adorato da donne insicure, che anch’esse purtroppo spopolano sul nostro pianeta.
Ma il colpo di scena avviene qualche giorno fa, quando la “coppia dall’amore acido” si trasforma improvvisamente nel “trio dell’acido”. Entra in scena un terzo uomo, Andrea Magnani, un bancario 32enne, amico di Boettcher . Secondo le indagini il terzo incomodo è servito da chaffeur personale della bella Martina, fornitore dell’arma del delitto, insomma, di materia corrosiva ne avevano un bel po’ con loro, perché in fondo non si sa mai. Accusato di lesioni volontarie gravissime, complice di questo gioco con il fuoco messo in atto da questa coppia acida, passionale, pericolosa, che uccide, o meglio, tenta di farlo, in veste carnevalesca.

“Gli amanti diabolici a volte sono solo un delitto allo specchio, riflesso della nostra coscienza, dalla condanna a morte, anche la loro”. Come possiamo, alla luce di questi eventi, non riportare alla mente altri due giovani amanti, complici di un’ulteriore strage, Erika e Omar? I due hanno aperto un capitolo della nostra storia, si sono amati e hanno ucciso, e uccidendo sono diventati un mito. Hanno ucciso per diventare un mito. Sentivano il bisogno di far nascere la loro coppia in maniera grandiosa, il loro amore era talmente forte da non poter rimanere inosservato. E ci sono riusciti, e hanno sofferto molto a causa di questa macchia indelebile che li ha marchiati per sempre.
Bornie e Clyde, la coppia malefica tanto amata della televisione, finisce per morire insieme, uniti fino alla fine, nel bene e, come nel loro caso, nel male; Erika e Omar terminano la loro folle corsa omicida odiandosi, e accusandosi a vicenda; la bocconiana e il broker si scambiano parole affettuose, e dalle ultime notizie pare lei porti in grembo il suo erede. Un altro uomo piccolo, ecco di cos’ha bisogno il mondo.
E’ che lo specchio a volte si rompe, a volte no.
Martina e Alexander avrebbero usato Pietro Barbini come una sorta di pedina umana, per farsi vicendevolmente del male, nei momenti critici e frustranti, nei momenti di noia, ultimi trascorsi di questa relazione malata. Malata e banale.

L’omicidio seriale è un’azione mostruosa messa in atto da due persone, due individui distinti che trovano nell’atto assassino piacere e gratificazione, come se si trattasse di andare al cinema insieme, o a mangiare una pizza. E’ il naturale sfogo di un malessere interiore radicato nel tempo”.

Questo è l’opinione di Ruben de Luca, uno dei massimi esperti dell’omicidio seriale, perché per comprendere a fondo una questione così sottile e complicata, a me piace osservare più punti di vista.
Un’altra vicenda interessante, che mi è sembrato opportuno prendere in considerazione, è il fatto di cronaca che vede come protagonisti i due coniugi di Erba, Olindo Romano e Rosa Blazzi.
La colf e il netturbino hanno ucciso per fare un po’ di pulizia in quel palazzo tanto sporco. Al piano di sopra ce n’era proprio bisogno. Come una professionale donna delle pulizie, Rosa Blazzi, ha eliminato la polvere da quella casa, perché anche il chiasso, gli schiamazzi, i rumori, i pianti continui di quel bambino, il piccolo yussef, possono essere considerati sporco da eliminare. Questa volta, per compiere il suo lavoro alla perfezione com’era solita fare, ha utilizzato un coltello, accompagnata dal marito armato di un martinetto.
Perché noi abbiamo il brutto vizio di dimenticare questi fatti, tristi vicende accadute anni fa, tristi e drammatici, perché si sa, il tempo è il peggior nemico della memoria umana, ma è interessante a volte mandare indietro le lancette dell’orologio per comprendere come la storia si ripeta continuamente, i coltelli continuino ad uccidere, il male continui a manifestarsi ad esplodere nella sua assoluta banalità.
Si, banalità, perché  in questo caso il male non è radicale, non possiede radici profonde e non è grandioso, proprio come non sono grandiosi, malvagi, meno che mai satanici, i protagonisti di tale male.
Riprendo una lettura a me cara, della filosofa Hannah Arendt, che interrogandosi sul “problema” dell’Olocausto, si ritrova ad analizzare la figura di Eichman, uno dei nazisti protagonisti dello sterminio di massa. La filosofa vede in Eichman semplicemente un piccolo borghese, preoccupato per la sua carriera, un amorevole padre di famiglia, né troppo cattivo, né troppo stupido. L’uomo ha obbedito al treno della storia, diventando un volenteroso carnefice, solo perché la storia portava da quella parte, e lui, essendo un cittadino modello, non può far altro che obbedire ai suoi superiori.
Si può riscontrare in tutto ciò una grigia e banale obbedienza, e se Auschwitz è stato il periodo più buio della storia occidentale è solo perché la società era popolata da persone banali, senza spina dorsale, che hanno unicamente obbedito ad agenti dello sterminio.
Il vero pericolo sarebbe dunque identificabile non nel mostro, il Diavolo satanico con gli occhi di fuoco e due corna sulla testa pronte ad infilzare il nemico, ma proprio nei grigi e banali esecutori, deboli, amanti di se stessi, incapaci di pensare, incapaci di giudicarsi.
Secondo Hanna Arendt il male non è radicale ma estremo, non possiede profondità né spessore demoniaco, ma è altrettanto tremendo.
Tremendo e banale, banale e malato.
E niente di più del banale ritroviamo nel male dei due coniugi di Erba, niente di più banale lo riscontriamo in una studentessa bocconiana che si trasforma improvvisamente in una carnefice, pronta a sfigurare belle facce con l’acido corrosivo.
Per amore di un uomo?

E’ l’amore la causa di tutto questa banalità del male?
“L’amore è quanto c’è di più prossimo alla psicosi”, questo diceva Gustav Jung, maestro della psicologia del profondo negli anni della nascita della psicanalisi freudiana.
“Il male non è radicale ma estremo, ed estremo nella sua banalità”, questo diceva Hannah Arendt negli anni immediatamente successivi all’Olocausto.
Momenti lontani, eppure non troppo lontani da non essere chiamati in appello, nel continuo tentativo di dare una risposta a quello che succede nel mondo.
E se la storia pare ripetersi nel nostro presente, cosa dobbiamo attenderci nel nostro futuro?


GIORNATA DELLA MEMORIA


Alla vigilia della giornata della memoria è coscienzioso per noi cittadini del mondo dare uno sguardo al passato, laddove l’orrore è cominciato.
Non è difficile intendere quanto, almeno per ciò che concerne noi italiani, il fascismo abbia mutato inesorabilmente le nostre vite, abbia plagiato le nostre menti, gli ideali, le nostre coscienze umane; ma non solo, gli effetti del fascio sono visibili tutt’ora passeggiando per  le maggiori città italiane, prima fra tante proprio Milano.
“Dobbiamo creare un nuovo patrimonio artistico, da porre accanto a quello antico, dobbiamo creare un’arte nuova, che rispecchi i nostri tempi: un’arte fascista”.

Così diceva il Duce, agli inizi degli anni trenta, subito aveva capito che l’architettura, e l’arte in generale, era per il fascismo la miglior forma di propaganda, non esitò per tanto a chiamare i migliori architetti, tra cui Marcello Piacentini, per mutare definitivamente l’aspetto del capoluogo lombardo.
Milano ne conserva ancora oggi le tracce: monumenti, palazzi, solide strutture in marmo, pietra, cemento, ma anche opere scultoree, pittoriche, effigi e molto altro; il Palazzo della Giustizia a Milano è solo uno dei tanti esempi, eretto dall’architetto Piacentini nel 1939- 1940, e decorato al suo interno con affreschi, bassorilievi, mosaici, realizzati da artisti quali Mario Sironi, Carlo Carrà, Arturo Martini.
Un’arte nuova, dunque, che esaltasse il periodo fascista ed innalzasse la figura di Mussolini non solo a livello nazionale, ma che la sua grandezza raggiungesse i confini mondiali.
Lo “Stile ‘900” è un movimento che fu promosso da un gruppo di artisti italiani, intorno al 1921, e aveva lo scopo di far tornare alta la tradizione pittorica antica, reagendo contro le stravaganze e le eccentricità delle precedenti avanguardie. Sette gli artisti che esposero nel 1923 nella galleria Pesaro a Milano, inaugurata da Mussolini: Mario Sironi, Anselmo Bucci, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Leonardo Dudreville, Emilio Malerba, Pietro Marussi.
I pittori che presero parte a quest’arte, definita “arte ufficiale del fascismo”, erano attratti dalla pittura italiana da Giotto al Rinascimento, ritornarono dunque al figurativismo e al concetto forma- volume che già diffondeva la rivista “Valori plastici”, fondata nel 1918. Quest’ultima pubblicava precisamente una poetica stilistica simile, esortando al ritorno alla natura morta, alla raffigurazione del paesaggio, e al ritratto.
Il governo fascista preferiva una tematica epico- popolare, all’interno degli schemi neoclassici e ai confini sociali ed educativi. Esigeva un’arte basata sul mestiere e sulla tradizione, che doveva piacere ed essere capita dal popolo, un’arte figurativa ben fatta tecnicamente.
Arte come artigianato, e artista come uomo di mestiere.
In realtà al fascismo interessava maggiormente il contenuto dell’opera, piuttosto che i suoi elementi formali, poco importava lo stile o il colore utilizzato, il Duce pretendeva un’arte che esaltasse l’idea di Nazione, e la superiorità razziale. Il disegno era più importante del colore, le forme dovevano essere scultoree e stilizzate, il contenuto epico- storico, la tematica monumentale e grandiosa, ritornando razionalmente alla prospettiva e alle composizioni ben organizzate e prestabilite.
Erano gli anni del “razionalismo”, che sviluppandosi in Italia parallelamente alla dittatura fascista, finì per diventarne la diretta espressione artistica.
E’ necessario sottolineare infine che, tra le due guerre mondiali, il ritorno al classicismo e alla tradizione diventò palese in tutta Europa, non solo in Italia. Infatti dopo la Prima Guerra Mondiale apparvero dovunque "i richiami all'ordine", "il ritorno alla tradizione accademica": è sufficiente ricordare Derain e Vlaminck, il Picasso del periodo classico, e tutta l'arte, o pseudo tale, accademico-fotografica della Russia sovietica e della Germania nazista.

Alla vigilia della giornata della memoria è quasi doveroso passeggiare per le vie della città di Milano accompagnati da una leggera malinconia, per prendere atto dell’orrore e delle atrocità accadute in quegli anni.  E’ opportuno dare uno sguardo al cosiddetto binario 21 dove centinaia di ebrei e deportati politici venivano caricati su vagoni bestiame diretti ai campi di Auschwitz–Birkenau, Mauthausen, Bergen Belsen, Fossoli e Bolzano.

La memoria è il vaccino culturale che ci rende immuni dai batteri dell’antisemitismo e del razzismo”.

Ma dagli orrori accaduti nei campi di sterminio, ci ritroviamo ad ammirare la bellezza e la maestosità dell’arte.
Il male ha sempre una doppia faccia della medaglia.


 

MILANO: PRIMA DONAZIONE SAMARITANA DI UN RENE
 
 
E’ successo per la prima volta a Milano: una donna dona gratuitamente un rene ad uno sconosciuto, scatenando una vera e propria cascata di trapianti, da donatore vivente.
Ci troviamo di fronte al primo trapianto d’organo da donatore samaritano, avvenuto nel nostro Paese, che, soffocato dall’immensa mole di catastrofi e tragedie umane, si rende protagonista di un gesto di estrema solidarietà.
A renderlo noto il ministro della salute, che ha convocato per la giornata di oggi, 10 Aprile 2015, una conferenza stampa; nella quale il Ministro Beatrice Lorenzin, il direttore del centro nazionale trapianti (CNT) e  Alessandro Nonni Costa, illustreranno questo eccezionale intervento, insieme ai chirurghi.
Gli effetti di questo gesto, di onesto altruismo, sono stati immediati. La donazione ha innescato una catena di interventi di trapianto, altrimenti impossibili. Si tratta di un fenomeno chiamato “cross over”, grazie al quale è stato possibile incrociare in successione tutti i donatori e i riceventi delle coppie, idonei al trapianto da vivente, ma incompatibili tra di loro a livello immunologico o per gruppo sanguigno, creando una catena di donazioni e trapianti. Un vero e proprio effetto domino!
Nel settore dei trapianti di organo il termine “samaritano” assume una valenza tutt’altro che religiosa, ma viene riferito al donatore vivente di un organo, che dona una parte di sé alla collettività, e non ad uno specifico ricevente, senza alcun tipo di remunerazione o contraccambio.
L’organo reso disponibile viene trapiantato ad un ricevente in lista di attesa, scelto secondo criteri predeterminati.
Tale gesto d’altruismo, può essere anche utilizzato  per facilitare il trapianto di potenziali riceventi in coppie incompatibili per motivi biologici, ad esempio soggetti con gruppi ABO incompatibili, tra i quali, mediante meccanismi “a catena aperta”, è possibile effettuare più trapianti.
In ambito internazionale questo tipo di donazione è ammessa negli Stati Uniti, in Olanda, e in alcuni Paesi scandinavi.
In Italia il fenomeno è rimasto sotto traccia fino al 2010. Il primo a pronunciarsi sulla possibilità di effettuare trapianti, grazie alla donazione samaritana, fu il comitato nazionale di bioetica, che si pronunciò favorevole, raccomandando alcuni controlli ed attenzioni da non sottovalutare.
“Tale forma di donazione sia esercitata nel rispetto del reciproco anonimato, del donatore e del ricevente, che l’informativa da sottoporre al donatore, per siglare il suo totale consenso, anche da parte della struttura medica, sia completo ed esauriente, in particolare riguardo i  rischi fisici e psichici, che il gesto comporta.”
“Il prelievo di un rene, da un donatore vivente, viene effettuato su esplicita, motivata, libera richiesta del donatore e del ricevente, in seguito ad una corretta ed esaustiva informazione riguardo i potenziali rischi corsi dal donatore, per il beneficio terapeutico del paziente”.
Inoltre, “Sul donatore viene effettuato anche un accertamento che verifichi le vere motivazioni della donazione, la conoscenza dei potenziali fattori di rischio, e delle reali possibilità del trapianto, in termini di sopravvivenza dell’organo e del paziente, la reale disponibilità di un consenso libero ed informato”.
E’ successo per la prima volta a Milano, il primo trapianto di rene, grazie ad un donatore samaritano.
A parlare sono i fatti e le carte, nulla di equivoco o ambiguo vi è nascosto alle spalle.
L’intervento, che si presenta  sotto un aureola di sommo altruismo, è limpido, chiaro, trasparente ai nostri occhi.
Un gesto di generosità in piena regola, che ricorda, a noi italiani, che la solidarietà esiste ancora, è visibile, ed è possibile toccarla con mano.
Riuscirà questo estremo esempio di amore verso il prossimo, a trasmettere un po’ di fiducia, nel cuore di noi cittadini, sempre frettolosi e distratti… O morirà soffocato dall’immensa mole di catastrofi che siamo costretti a subire ogni giorno?
 
 


 

 




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