_Credevo Di Aver Trovato La Mia Strada...
Invece La Stavo Semplicemente Scavalcando_
C’era una volta un uomo barbuto, e non dal gradevole
aspetto, di nome Arthur
Schopenhauer.
Costui
portava radi capelli biancastri tutti spettinati, e osservava il mondo con la
sua lente d’ingrandimento, da grande pensatore, digrignando il volto stanco,
appassito ed incattivito, dal peso di tutti i suoi anni.
Tale
vecchio saggio vegliava sul mondo, studiando come un antropologo l’evoluzione
della specie umana, e il suo specifico comportamento all’interno della società.
Molti prima di lui l’avevano fatto, e molti ancora l’avrebbero fatto e ancora
lo faranno; fare il filosofo era un ottima soluzione per lavorare, senza dover
necessariamente lavorare.
Arthur
Shopenhauer affermò, dopo anni di
incessanti riflessioni, che la volontà dell’uomo è irrazionale; per tanto ciò
che noi consideriamo ordine e armonia, alla luce di un nuovo giorno, altro non
è che pura illusione.
L’ordine
della società civile e politica, altro non è che il fragile rivestimento di una
moltitudine di pulsioni ed egoismi. Un debole telo colorato, che impedisce alla
mente comune di giungere fino alla vera conoscenza.
La
storia, che sembra ripetersi incessantemente, altro non è che una sequela di
irrazionalità e follia.
Noi
uomini comuni, trascorriamo la nostra umile esistenza a giustificare,
nell’estremo tentativo di conferire una parvenza logica ai ciechi impulsi, e
agli sfrenati egoismi dell’uomo.
Non
vorrei già mettere i bastoni tra le ruote al grande pensatore, ma oserei
aggiungere il termine “condannare”, nelle attività privilegiate dell’essere
umano. Perché ciò che non viene immediatamente compreso, viene immediatamente
condannato.
Una
piccola percentuale di onestà rovescerebbe la vita dell’uomo verso una
drammatica tensione. E’ sufficiente scoprire che il sentimento di
soddisfazione non può avere una posa
durativa.
La
volontà, in quanto desiderio, è qualcosa che ci sfugge perennemente dalle dita,
è una montagna che ancora dobbiamo scalare. E’ per tanto privazione, dolore,
sofferenza.
Detto ciò
possiamo dedurre che non appena raggiungiamo la vetta della felicità,
sprofondiamo immediatamente nelle sabbie mobili della noia. A che serve tutto
questo Sali e scendi? A mantenere la nostra calma apparente, forse. Non appena
si è placato il bisogno, quando abbiamo raggiunto, attraverso molti sacrifici,
l’obiettivo prefissato, la vita, che non è altro che volontà, appare come
svuotamento di se, e priva di senso.
Non so se
il caro Shopenhauer volesse dire proprio questo, ma a mio avviso corrisponde
alla situazione odierna dell’uomo, quindi non troverei da dire nulla di più
vero.
Se il
termine “intelligente” deriva dal latino “intus + legere”, la persona intelligente
è colei che possiede quella capacità introspettiva di leggere dentro, di
guardare attraverso il velo bugiardo della società, di andare oltre alle
apparenze.
Se il
vuoto che l’uomo sente dentro è insoddisfazione, stando alle teorie
dell’illustre barbuto sopra citato, nulla ci è permesso di fare, al fine di
scampare dalla noia e dalla delusione.
La morte,
la guerra, le carestie, le malattie, un prato di vetri taglienti, un sangue che
scorre irregolare al di fuori delle sue grondaie, lasciandoti candido, a terra,
senza vita, un foro profondo, nel mezzo di due occhi vuoti e glaciali. Tutto
questo fa parte di noi, e non abbiamo bisogno di ulteriore filosofare per
affrontare la realtà dei fatti.
Arriva un
giorno e ti ritrovi a vivere una doppia vita, diversa da quella che ti eri
immaginato da bambino. Arrivi a 20 anni e i tuoi capelli non sono più folti
come una volta, il colore vivace perde il suo carisma, gli occhi si affossano e
si fanno più piccoli, il sorriso più spento. E hai solo 20 anni. Ma di principi
azzurri a cavallo di un bellissimo unicorno
bianco, non ce n’è neanche l’ombra. Sarebbe stato meglio desiderare un
poni nero con in sella Napoleone Bonaparte, forse.
Se tutto
questo è sbagliato, che senso ha il nostro caos primordiale?
Ho
trascorso una vita a giustificare ogni comportamento umano, nel vano tentativo
di dare una spiegazione logica al mondo, il mio, che mi roteava accanto senza
sosta. Non avevo il tempo di focalizzare un punto nel mio planisfero colorato
che già mi era sfuggito, già era scappato lontano, e io neanche l’avevo
sfiorato.
Ho
trascorso una vita nell’incessante ricerca di una cura, una cura per questo
male che infligge l’uomo da troppo tempo.
Ho
trascorso una vita a giustificare la cattiveria e l’immane egoismo dell’essere umano
che, annegato nella codardia, spende i suoi giorni nascondendo la testa sotto
la sabbia.
Tu, che
dovevi insegnarmi l’amore fraterno.
Tu, che
avevi il solo compito di amarmi e proteggermi, hai trascorso i tuoi anni a
nascondere il bel faccino sotto al tuo candido abito da sposa.
Tu che
dovevi essere la mia spalla, e crescere al mio fianco, mi hai privato del
calore che mi spettava.
Mi hai
lasciato sola, in mezzo al vuoto, a giustificare ogni tuo egoismo, e a scaldare
le mie povere ossa accanto al fuoco di un camino.
Altro non
mi resta che riempirmi la bocca e lo stomaco del tuo squallido veleno.
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