Il demone conosce bene le sue vittime. Sono ragazze
apparentemente normali, ma con quel nonsochè in più.
Con me ha trovato terreno fertile, il gene maligno, non sono
mai andata d’accordo con me stessa; troppa determinazione, ambizione, fragilità
e lacrima facile. Una miriade di contraddizioni in un corpo solo, sopportarmi è
da sempre un’impresa decisamente titanica.
Questo gene infetto, tale particella batterica, attacca
sempre al momento giusto, quando la vittima attraversa un momento di
confusione.
Io ero alla ricerca di quel tassello mancante, per ultimare
finalmente il puzzle colorato della mia vita. Non sapevo esattamente di cosa si
trattasse, le idee erano tante, e come sempre affollavano la mia mente, impedendomi
di seguire, tra le nubi, la giusta luce. Una cosa sola sapevo, che la mia
strada non stava lì ad aspettarmi, io dovevo andare a rincorrerla, a prenderla,
farla mia, una volta per tutte.
Il mio destino mi attendeva, e io non potevo più farlo
aspettare.
Chissà, forse ho solo sbagliato destinazione.
Una ragazza si nutriva di immagini e parole, un mondo
colorato nel quale s’immergeva ogni qual volta ne sentiva il bisogno; era
sufficiente cullare in grembo un oggetto cartaceo, prodotto editoriale che
sfiora quasi la perfezione assoluta; e innamorarsi, pagina dopo pagina, di
quella poesia, che solo l’arte del disegno
riesce a trasmettere.
Una ragazza non riusciva a stare ferma in quello scomodo
sedile d’aereo, e sorrideva socchiudendo gli occhi, perdendosi nell’istante di
quel momento. Assaporava ogni rumore,
dalle urla di quel bambino del sedile davanti, ai passi veloci delle hostess di
volo, alle mani avide, che scorrevano le pagine nutrendosi del piacevole
fruscio provocato dalla carta tra le dita; il cuore le sussultava nel petto,
stretto in una piacevole morsa di pura libidine.
Una ragazza conversava con una signora peruviana, una
donnina tutta d’un pezzo, che le sedeva accanto. Chiacchieravano perché avevano entrambe da
trascorrere 14 ore sacrificate in un sedile scomodissimo, che regalava uno
spazio vitale decisamente soffocante. Ma soprattutto si scambiavano quel fiume
di parole, perché entrambe avevano qualcosa da dire. Una narrava le
vicissitudini che l’avevano portata ad intraprendere quel lungo viaggio;
l’altra raccontava un amore profondo, quello per l’illustrazione, un mondo
fatto di immagini evocative, rassicuranti, colorate o in bianco e nero. Un
universo parallelo , che per lei era il viaggio migliore del mondo.
Parlavano due lingue diverse, nessuna delle due afferrava
una sola parola dell’altra, ma si scambiavano sorrisi sinceri ed infiniti. Non
si capivano, ma si sentivano ascoltate.
Due settimane dopo quella stessa ragazza riusciva a
scambiare due parole, sfoggiando uno spagnolo italianizzante, con la vecchina
della casa accanto, e con il fruttivendolo. Sorrideva al vento, lasciandosi
scompigliare i biondi capelli, e si faceva baciare dai caldi raggi solari,
fiera della sua identità italiana, in un mondo composto da così tanti “stranieri”.
Quella ragazza ero io, che intraprendevo ogni giorno un
viaggio diverso, alla conquista della mia
America, del mio mondo, quando in realtà ancora dovevo conquistare me
stessa.
Ero la stessa anche quando, girato l’angolo, fissavo il
vuoto, perdendomi in quello stelo d’erba che si piegava alla potenza del vento.
Allo stesso modo io non resistevo alla forza di quel demone, che, pian piano,
si impossessava di me.
E fu proprio dall’altra parte del mondo, durante quella
corsa assurda verso una bellezza illusoria, che poco apparteneva al mio essere,
e nella folle attesa di un appuntamento importante, che non sarebbe mai
arrivato; che rubai la mia prima bicicletta, dopo tanto tempo.
Cedetti alla tentazione, come un ladro all’interno di una
gioielleria. Catturata dal profumo di vernice fresca, mi ritrovai con le mani
nel sacco, e, con lo sguardo appannato, le mani sudate, e il cuore gonfio
d’angoscia, iniziai a pedalare alla ricerca del mio sole.
Il caso vuole che, nel momento in cui il mio demone, aveva
assunto quasi totalmente il controllo del mio essere, mi capitò un libro tra le
mani: di Robert Louis Stevenson, “Il dottor Jekyll e Mr Hyde”. A catturare la
mia curiosità, la metamorfosi, e la lotta continua tra il protagonista ed il
suo doppio. “Come il bene traspariva sui lineamenti dell’uno, il male si inscriveva
a chiare lettere sul volto dell’altro”.
Stevenson mette in gioco temi di grande suggestione, ed
arriva a sfiorare le corde più segrete del mio animo.
Ora, con il senno di poi, tutto mi appare dinnanzi con
estrema chiarezza.
Anch’io combatto una battaglia infinita con il mio Mr Hyde, anch’io
subisco quella terribile metamorfosi, quando il demone prende il sopravvento su
di me.
Solo una cosa ci tengo a contestare al defunto Stevenson, il
mio Mr Hyde non è un uomo. Tale bastardaggine e furbizia non possono che
appartenere ad una mente femminile.
Nessun commento:
Posta un commento